Il mito di Rea Silvia, la Fortezza Pontificia e l’Arx Albana
“Ciò che per noi è solo un mito per gli antichi era Storia”
(di Franco Arietti)
Il recente ritrovamento di una lastra marmorea decorata di epoca medievale in un ambiente della Fortezza Pontificia di Rocca di Papa, impone una riflessione su questo luogo maestoso, da cui si gode una veduta straordinaria. In primo piano appaiono il Monte Albano e il promontorio della mitica Alba Longa; poi lo sguardo si posa sul Lago Albano e sui paesi dei Colli Albani disseminati lungo la cinta craterica, per poi perdersi nell’immensa distesa dell’Agro romano, fino alla costa ed al mare che scompare all’orizzonte. Roma domina la pianura ed alle sue spalle le fanno da corona i monti sabatini con il Lago di Bracciano – le cui acque sono perfettamente visibili dalla Fortezza quando appaiono illuminate dai raggi del sole – mentre, volgendo lo sguardo a settentrione dove si erge il Monte Soratte, si scorgono i monti Cornicolani e, infine, si ritorna sui Colli Albani, sul colle di Tuscolo e la Valle Latina.
LE FERIE ALBANE
Le fonti antiche attribuiscono l’origine delle ferie Latine ai prisci Latini oppure a Tarquinio il Superbo (ma sappiamo che spesso egli viene scambiato erroneamente con Tarquinio Prisco). Normalmente, gli studiosi moderni considerano i “primi Latini” in vari modi, ma quasi sempre attraverso attribuzioni etniche e geografiche che coinvolgono i popoli di varie parti del Lazio antico, ignorando sistematicamente gli Albani ed il loro vastissimo territorio all’interno del quale si eleva il Monte Albano, sede delle ferie Latine. Eppure Servio, spiegando che Priscos Latinos ita dicti sunt qui tenuerunt loca, ubi Alba est condita, ha ben chiarito (e concluso) i termini di questa vexata quaestio, identificando con assoluta precisione i prisci Latini con gli Albani.
Dunque, autorevoli fonti antiche hanno tramandato quello che l’imponente documentazione archeologica e un’attenta analisi storica hanno accertato con inoppugnabili argomentazioni: ora sappiamo con certezza che le famose ferie nascono e si strutturano localmente tra gli albani, in età protostorica, tra XI e VII sec. a.C.
A questo punto è necessario introdurre un correttivo fondamentale: in origine, le feste di cui si parla non sono affatto “Latinae”, ma esclusivamente “Albanae”, e tutto lascia pensare che esse abbiano avuto lo scopo principale di sancire – attraverso istituzioni religiose stabili – un vincolo comunitario inteso come atto finale di un lunghissimo processo d’integrazione.
L’antichità è garantita dal tipo delle offerte di cui parlano le fonti antiche, legate al mondo della pastorizia (agnelli, latte, formaggio e focacce di miele), quindi da consuetudini precedenti all’introduzione del vino (VIII sec. a.C. nel Lazio), bevanda tipica di Giove.
Dunque, nel corso di oltre un millennio, per rinsaldare, anno per anno, il principio di comunità etnica, si rese necessaria la comunione religiosa tra i numerosi gruppi tribali albani prima e tra le curie gentilizie poi; questo legittima l’ipotesi che gli Albani, oltre agli dei, venerassero anche antenati comuni: probabilmente in questa lista di antenati poté essere inserito, nel VI sec.a.C., dai Tarquini di Roma, il Tarchetio re di Alba (leggi l’articolo http://www.osservatoriocollialbani.it/2017/11/05/alba-alba-longa-tuscolo-e-il-suo-fiume-scomparso/). Pertanto, probabilmente già dall’età protostorica, il Monte Albano e Alba rappresentarono per gli Albani due spazi cultuali ben distinti, rispettivamente riservati agli dei e agli antenati.
Le curie gentilizie albane tra VIII e VII sec. a.C. (da Arietti 2020)
Il valore fondante di queste primitive feste, che traspare da precisi atti comunitari, costituisce il portato che il mondo latino ha ereditato e assimilato dalla precedente esperienza comunitaria albana. Su di esso si è potuta tessere la trama religiosa che ha vincolato i populi del Latium vetus attraverso l’atto culminante e più significativo delle celebrazioni religiose delle ferie Latine: la comunione attraverso la spartizione della carne di un toro bianco (purus) sacrificato. Immaginare la nascita delle ferie Latine, di questa straordinaria esperienza religiosa, ignorando completamente il mondo albano, com’è stato fatto finora con grande disinvoltura, è ora impensabile.
LE FERIE LATINE E I COLLEGI SACERDOTALI ALBANI
Per quanto riguarda le ferie Latine, un capitolo nuovo si apre sui collegi sacerdotali Albani. Finora la loro sede ed il loro ruolo erano del tutto oscuri, completamente scollegati da cerimonie, feste o ambiti territoriali specifici.
Accanto ai Sacerdotes Cabenses feriarum Latinarum montis Albani – in origine abitanti delle aree immediatamente adiacenti all’area sacra della vetta (che a partire dall’’VIII sec. a.C. sicuramente divennero “proprietari” della stessa area sacra), ai quali, probabilmente, per questo atavico diritto, in età romana, venne assegnato il compito di continuare a svolgere le cerimonie religiose sulla vetta e di presidiare e vegliare anche sul Bosco sacro (ruolo che svolsero per oltre un millennio!) – è probabile che in occasione delle ferie Latine venissero attivati altri collegi sacerdotali albani.
Tralasciando per ora gli altri sacerdozi, è importante considerare il ruolo delle Virgines Vestales Albanae, le quali partecipavano direttamente alla cerimonia conclusiva delle ferie. La notizia tramandata da Lucano del grandioso spettacolo offerto ai popoli della pianura a conclusione delle ferie Latine, del falò acceso di notte sull’Arx albana col fuoco sacro “Vestali raptus ab ara” che tutti i popoli della pianura attendevano, è estremamente importante e significativa poiché ci assicura della presenza di un’ara e di un culto delle vestali nell’Arx del Monte Albano. Ma dove si trovava quest’Arx e dove si accendeva da secoli, ogni anno, questo grandioso falò?
LE VERGINI VESTALI DELL’ARCE ALBANA
E’ interessante evidenziare, in particolare, la figura di una Virgo Vestalis maxima arcis Albanae, nota da un documento epigrafico. Mentre la sede delle Virgines Vestales Albanae è sicuramente ubicata a Boville (ne parla Cicerone nell’Oratio pro Tito Annio Milone, poiché le vestali vennero coinvolte nei fatti che anticiparono l’uccisione di Clodio), quella delle vestali dell’arce albana indicano espressamente un’altra località, stavolta direttamente connessa al Monte Albano (ci sembra superfluo aggiungere che ubicare l’Arx Albana a Castel Gandolfo, com’è stato proposto di recente perché la località venne intesa come sede di Alba Longa, significa collocare l’ara delle vestali a parecchi chilometri di distanza dal Monte Albano).
Tombe femminili ad incinerazione risalenti al X sec. a.C. Il rito ustorio in questa fase è rigorosamente riservato a personaggi che hanno svolto un ruolo importante nell’ambito della comunità. E’ assai probabile che queste donne ricoprissero il ruolo di vestali. 1) S. Lorenzo Vecchio (Rocca di Papa); 2) Villa Cavalletti (Grottaferrata); 3) Castel Gandolfo scavi 1816/17
I SALII DELL’ARCE ALBANA
Invece, risulta assai importante evidenziare che la medesima situazione si presenta all’interno di un altro sacerdozio (guerriero), probabilmente di antichissima origine (sicuramente è attestato nel X sec. a.C.): quello dei Salii Albani. Stavolta non conosciamo la loro sede, ma tra essi si distinguevano, esattamente come per le vestali, i Salii arcis Albanae.
Santa Palomba (agro aricino) tomba 1, maschile. Il corredo miniaturizzato connota lo status del defunto come capo guerriero (per la presenza delle
armi) mentre il ruolo sacerdotale è sottolineato dal coltello. La presenza dei “doppi scudi” (in alto) che venivano percossi durante la danza, rivela la sua appartenenza al sacerdozio dei Salii
E’ significativo che i due collegi sacerdotali considerati, i cui culti sono rivolti rispettivamente a divinità quali Vesta e Marte – divinità totalmente estranee ai culti dell’area sacra posta sulla vetta del Monte Albano, esattamente come il Bosco sacro di Marte citato dalle fonti antiche – vengano ascritti alla medesima Arx Albana. E forse non è un caso che nel racconto di Dionisio l’episodio dell’incontro (e del famoso stupro) tra Rea Silvia (tradizionalmente considerata la prima vestale della storia) e Marte, venga ambientato nel bosco sacro del dio: un luogo distinto dal Bosco sacro di Giove e dalla stessa Alba, ma vicino ad essa, dove Rea Silvia si era recata ad attingere dell’acqua.
Affresco dalla domus di Fabio Secondo a Pompei. Marte, armato di tutto punto, scende dal carro di Helios e si dirige verso Rea Silvia addormentata
nel suo Bosco Sacro
Pertanto, dal momento che l’Arx Albana non corrisponde decisamente né ad Alba né alla vetta del Monte Albano, ma certamente al luogo dove gli antichi identificavano il bosco sacro di Marte, è assai probabile che l’Arx, cioè la rocca, debba essere identificata con la maestosa rocca posta alle pendici di Monte Cavo: la Fortezza Pontificia. E’ interessante notare che il primitivo nome di questa località, che risale al 1100 circa, sia “Roccam de Monte Cavo”. L’attuale nome di Rocca di Papa deriva dall’arrivo, subito dopo quella data, del pontefice Eugenio III; ancora nel 1463, Pio II chiamava la Fortezza Pontificia “Arx Papae”. Ed è quindi probabilmente connessa al culto di Vesta l’area sacra di età arcaica identificata recentemente nel corso degli scavi condotti sulla Fortezza Pontificia.
Grazie a Lucano, abbiamo forse identificato, oltre al lucus Martis, il Bosco sacro di Marte, anche il luogo dove avveniva la cerimonia dell’accensione del grandioso falò, Vestali raptus ab ara, che segnava la conclusione delle ferie Latine (impensabile nell’area sacra sulla vetta del Monte Albano). Tutto lascia pensare che quella del grande falò notturno doveva corrispondere ad una cerimonia antichissima, che probabilmente perpetuava il ricordo dell’istituzione protostorica albana del sacerdozio delle vestali come ricorda Tito Livio: Alba oriundum sacerdotium et genti conditoris haud alienum (sacerdozio questo di origine albana e in qualche modo connesso con la famiglia del fondatore – Romolo ndr). Pertanto è accertato che l’Arx Albana conservava ancora in età storica il culto protostorico di Vesta e sicuramente anche il sacerdozio guerriero dei Salii Albani, risalente alla stessa epoca.
Se abbiamo colto nel vero, nel corso III sec. a.C., quando venne elaborato, o meglio, rielaborato il mito dei gemelli di età arcaica che riecheggiano nel mito di Tarchezio, il racconto dell’incontro di Rea Silvia con Marte trovò la sua naturale collocazione nel luogo dove da secoli le vestali albane custodivano il fuoco sacro di Vesta: l’Arx Albana.
Ora sappiamo che le celebrazioni delle ferie Latine coinvolgevano, oltre alle principali istituzioni, anche i luoghi ove queste si trovavano. Per cui, esattamente come le feste in onore della dea Dia, le celebrazioni delle feste Latine si svolgevano anche all’esterno del Bosco sacro, secondo un percorso itinerante che collegava Alba all’Arx, il quale delimitava il Bosco sacro. Naturalmente, considerando la lunga stratificazione, è necessario distinguere tra feste Albane (XI-VI sec. a.C.), feste della lega latina (VI- IV sec. a.C.) e feste indette da Roma (dal IV sec. a.C. in poi).
In questa prospettiva i collegi sacerdotali Albani che annoverano figure come il Pontifex, Dictator, Salius, Virgo Vestalis e Sacerdos Cabensis, riacquistano appieno il ruolo storico che la tradizione assegnava loro, in particolare durante le ferie Latine. Nel corso delle cerimonie, a prescindere dal loro specifico ruolo, questi sacerdoti incarnavano la storia, le istituzioni e la genesi dell’éthnos latino: senza di loro le ferie Latine, accanto alla rappresentanza dei populi che storicamente vi avevano preso parte, avrebbero perduto completamente il loro significato.