Dobbiamo alle citazioni di storici antichi come Dionigi d’Alicarnasso e Tito Livio le prime notizie di un luogo mitico dei Colli Albani: il Lucus Ferentinae e il suo Caput Acquae. Tale conoscenza è, principalmente, di tipo indiretto in quanto riferita alle attività politiche della Lega Latina che venivano svolte in quel luogo. Dalla definizione del Lucus Ferentinae riportata da Sextus Pompeius Festus, grammatico latino del II sec. d.C., apprendiamo la remota antichità del luogo come sede di riunione della tribù degli Albani pre-romani prima che vi si tenessero le assemblee della Lega Latina. Facendo di questa affermazione un punto di arrivo, verranno messe in evidenza le caratteristiche storico, antropologiche ed archeologiche del Lucus Ferentinae, se ne evidenzieranno gli aspetti costitutivi, ambientali e di simbologia del sacro associati all’affermazione dell’identità della principale comunità protostorica dei nostri Colli: gli Albani.
PREISTORIA E PROTOSTORIA DEI COLLI ALBANI
Il Lucus Ferentinae
(di Adolfo Masi)
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L’Albana Vallis
Il Lucus Ferentinae ed il suo Caput Acquae sono i luoghi sacri dell’antichità strettamente legati all’etnogenesi della comunità protostorica degli Albani, alle loro assemblee (prima della disfatta contro i romani avvenuta nell’VIII sec. a.C.) nonché, successivamente, alle assemblee delle alleanze federative tra popoli latini e non del Latium Vetus, la Lega Latina, fino allo scioglimento di questa nel 338 a.C.
La narrazione non intende essere una storia delle ricerche sulle sue possibili ubicazioni, anche se ne verrà ripresa una specifica con nuove argomentazioni, ma un racconto delle sue funzioni, della sua simbologia come luogo sacro che, allo stesso tempo, ha rivestito un’alta valenza politica per le comunità Albane e Latine. Ciò fornirà nuovi motivi di interesse verso quei luoghi ai quali il culto e la comunità protostorica citata mostrano di appartenere.
I luoghi della ninfa Ferentina
Il culto alla Dea avveniva in un lucus, inteso come la forma più antica di spazio sacro all’aperto consistente in una piccola radura, all’interno di una fitta foresta inabitata, dove vi penetrava la luce e aveva luogo la ierofania, cioè l’apparizione del sacro, nella fattispecie vi si faceva apparire la ninfa Ferentina ovvero la Dea Indiges Ferentina (gli Dei Indigeni, erano le antichissime divinità appartenenti alla religiosità mitologica italica).
Quando pensiamo al luogo sacro alla ninfa Ferentina occorre fare riferimento al suo contesto ambientale protostorico e ai culti ctonii che vi si praticavano. La sua antichità è tale che non abbiamo citazioni delle fonti antiche riguardo alla liturgia del suo culto. Si tratta di una forma di credenza originatasi durante il Neolitico Medio o Finale il cui sviluppo come luogo di rilevanza sacrale va di pari passo con lo sviluppo sociale e culturale della più antica comunità ad essergli devota, quella degli Albani pre-romani.
Il culto delle acque
In questo caso si tratta del culto di una sorgente all’interno del lucus come sopra definito. Esso si costituisce nel riconoscimento della sacralità di un luogo naturale da parte di una comunità umana. La sua personificazione o antropomorfizzazione, attraverso le immagini delle ninfe che conosciamo, avviene nei secoli successivi a seguito del contatto con i primi gruppi di navigatori esploratori/prospettori e coloni dell’area egea. Questi iniziarono, dall’età del ferro, una frequentazione più assidua delle coste della penisola italiana, alla quale seguirà nell’VIII secolo a.C. l’inizio della colonizzazione greca dell’Italia meridionale.
Similitudine tipologica del Caput Acquae Ferentinae
Tratto dell’Acqua Ferentina nell’area della sorgente di Capo d’Acqua
Tratto dell’Acqua Ferentina nel Bosco Ferentano (Barco Colonna)
Il culto delle acque, prima definito nel suo contesto naturale, risulta essere molto più antico di quello indirizzato alle divinità celesti come, ad esempio, quello dedicato a Juppiter Latiaris sul Monte Albano. Pur venendo riconosciuta per molti secoli la sacralità del Lucus Ferentinae, tuttavia esso probabilmente non divenne mai un aedes sacra, cioè un tempio come avvenne per il luogo dedicato a Giove sul Monte Albano e il sito di Diana Aricina sulle sponde del lago di Nemi. Ciò è da attribuire alle dinamiche di sviluppo culturale, delle comunità dei Colli Albani agli albori della storia, proiettate verso alleanze federative inclusive di altri popoli del Latium Vetus, quali la Lega Latina, cui corrisposero nuove forme del sacro legate alla sfera celeste, più rispondenti ai nuovi assetti socio-politici delle comunità e destinate a maggiore fortuna.
Il simbolismo sacro del culto delle acque
Ma quali sono le caratteristiche sacrali ed il simbolismo dei «culti delle sorgenti d’acqua» che hanno determinato la scelta di quel luogo per la riunione delle tribù Albane prima e dei popoli Latini poi? Ovviamente potremmo non saperlo mai completamente, ma potremmo avvicinarci ad un’idea realistica esaminando la letteratura esistente sui «culti delle acque» e tentare una associazione a quelli che potevano essere svolti nel Lucus Ferentinae. Vediamo in che modo ce ne parla l’antropologo e storico delle religioni Mircea Eliade riguardo al simbolismo e le ierofanie delle sorgenti: «[…] Esse sono riferite all’acqua che sgorga, la sostanza primordiale da cui nascono tutte le forme […] «Simbolo cosmogonico, ricettacolo di tutti i germi, l’acqua diventa la sostanza magica e medicinale per eccellenza, guarisce, assicura la vita. L’acqua ringiovanisce e dà la vita eterna, una credenza antichissima fissata anche nei riti di immersione nell’acqua come mezzo di purificazione e rigenerazione visibile nel Cristianesimo e nei riti battesimali […] nelle acque avvenivano le ordalie, fenomeno religioso caratteristico dell’intero complesso atlantico-mediterraneo». Quest’ultimo aspetto della sacralità delle acque sorgive, di natura cruenta, per analogia di esecuzione, ci riporta alla modalità di uccisione di Turno Erdonio avvenuta presso il Caput Acquae Ferentinae alla fine del VI sec. a.C., la quale avvenne in un luogo sacro rispondente ai criteri dello Iudicium Dei tipico delle ordalie, cioè una procedura basata sulla promessa che la divinità, in questo caso la ninfa Ferentina, avrebbe aiutato l’innocente in caso lo fosse davvero.
Anche la glittica mesopotamica ci parla dell’acqua ed il pesce, come emblemi di fecondità. Ancor oggi, presso le comunità tradizionali («primitivi») l’acqua si confonde regolarmente nel mito, con il seme virile. L’acqua è germinativa, fonte di vita. La tradizione delle acque primordiali, dalle quali nacquero i mondi, si trova in un notevole numero di varianti delle cosmogonie antiche.
Come esempio comparativo, riguardo alle funzioni fondative, di un populus e/o del suo nomen, in luoghi come sorgenti in grotte naturali, ritenuti atti a mitizzarne e sacralizzarne la nascita si cita l’analogia con la cosmogonia delle civiltà preispaniche della mesoamerica. Infatti come sui Monti Albani il Lucus Ferentinae funge da strumento sacrale per la nascita del popolo degli Albani così in Mesoamerica la nascita di sette popoli dell’altipiano del Messico Centrale, di lingua nahuatl, avviene in un medesimo luogo sacro, chiamato Chimoztoc rappresentato da sette grotte con presenza di acqua in abbondanza, si tratta dei Xochimilca, Tlahuica, Acolhua, Tlaxcalan, Tepaneca, Chalca e Mexica (Aztechi).
Chimoztoc, il mitologico luogo d’origine dei popoli mesoamericani di lingua nahuatl.
Peraltro, i pesci, come emblema del sacro, ricordano le offerte di «piscicula aes» rivenute nell’area del santuario di Juppiter Latiaris sul Monte Albano e potrebbero rappresentare una forma di sincretismo religioso di offerte simili che venivano fatte presso il Caput Acquae Ferentinae, quale rito propiziatorio per il buon esito della pesca lacustre, prima che questi cessasse di essere il centro religioso principale dell’Albana Vallis.
La mitologia
Mircea Eliade ci racconta questo aneddoto: «Chi, fra i Greci, poteva vantarsi di conoscere i nomi di tutte le ninfe? Erano le divinità di tutte le acque correnti, di tutte le sorgenti, di tutte le fonti. Non le ha prodotte l’immaginazione ellenica: erano al loro posto, nelle acque, fin dal principio del mondo; dai greci ricevettero forse la forma umana e il nome. Sono state create allo scorrere vivo dell’acqua, dalla sua magia, dalla forza che ne emanava, dal mormorio delle acque. I Greci, al più, le hanno staccate dall’elemento con cui si confondevano. Una volta staccate, personificate, investite di tutti i prestigi acquatici, hanno acquisito una leggenda».
Le Ninfe sono dunque più antiche degli Dei e sono collocate nell’ambito delle credenze religiose di tipo «animista», considerata come la prima forma di religione dagli antropologi. L’espressione «animismo» fu utilizzata dall’antropologo Edward Tylor, nell’ambito di una visione evoluzionista della religione, per definire una forma «primitiva» di religiosità basata sull’attribuzione di un principio incorporeo e vitale (anima) a fenomeni naturali, esseri viventi e oggetti inanimati, in special modo per tutto ciò che incide con la vita di queste popolazioni: i prodotti alimentari e la loro caccia e raccolta, i materiali per utensili, monili e ripari, i fenomeni atmosferici, la morfologia del territorio. Tutto ciò viene riconosciuto animato e associato a forme di venerazione, spesso funzionali alla buona riuscita delle azioni quotidiane per vivere.
È noto che le forme di credenza animista non riguardano soltanto gli antichi greci ma tutta la storia del sacro delle comunità umane in ogni parte della Terra. Alcuni esempi, solo per citarne alcuni, ci vengono dalle divinità indiges italiche, dalle huacas peruviane (un termine quelcua con cui gli incas definivano luoghi, oggetti o esseri animati ritenuti sacri), etc.
Cionondimeno tutte le divinità delle acque hanno in comune la loro nascita dalle acque stesse. Le ninfe delle sorgenti, quindi tra queste Ferentina, sono divinità della nascita (acqua=fecondità) e kourotrophoi cioè allevano i bambini e insegnano loro a diventare eroi come nell’agoghé spartana.
Raffigurazione coroplastica della Dea Ferentina
La mitologia greca individua nelle Pegee o Crenee le ninfe delle limpide sorgenti scaturite dalle insondabili profondità terrestri che proteggevano e vivevano presso le sorgenti stesse; le Limniadi, quelle delle polle stagnanti che sembrano custodire arcani segreti. Viene individuato dalle fonti classiche il mezzogiorno come momento di epifania delle ninfe delle sorgenti le quali sono capaci di indurre un entusiasmo ninfoleptico in chi le osserva. Il racconto mitologico ci descrive le ninfe (dalla parola greca nymfe «fanciulla, futura sposa») come creature deliziose: fanciulle giovani e belle che vivevano in mezzo alla natura, simboli della forza vitale della natura; alcune ninfe erano immortali, altre mortali ma dotate di una vita molto lunga. Eleganti, flessuose, vestite di lunghe tuniche ariose, spesso si divertivano improvvisando danze e giochi, e intrecciando romantiche storie d’amore con gli dei e con gli abitanti dei boschi. In tutto il mondo greco venivano adorate proprio come dee, ma non in pubblico; si facevano alle ninfe offerte in privato (latte, miele, olio, ghirlande di fiori) per ottenere la loro benevolenza. le Pegee o Crenee erano mortali e la loro vita si estingueva così come si estingue una sorgente; le Amadriadi avevano lunga vita, proprio come gli alberi, ma alla morte dell’albero ospitante morivano anch’esse (e questo succedeva anche se l’albero veniva abbattuto: infatti si dice che il culto per le Amadriadi nacque e fu diffuso con l’intento di insegnare il rispetto per la vita delle piante.
Ninfa delle acque (periodo tardo repubblicano)
Il Lucus Ferentinae e il Caput Acquae Ferentinae
L’ubicazione di questo antichissimo luogo sacro costituisce da decenni il rompicapo di diversi studiosi. Per ultimo abbiamo lo dell’archeologo Franco Arietti contenuto nel suo libro: «Alba e il Monte Albano, origine e sviluppo della civiltà Albana, pp.163-166, Ed. Tored, 2020» nel quale viene proposta una nuova ubicazione per il Lucus Ferentinae, legata alla celebrazioni delle Ferie Latine, nelle aree adiacenti alla località di Fontan Tempesta.
Sulla istituzione e funzione del Foro della Ferentina dalla sconfitta degli Albani nell’VIII secolo a.C. al 338 a.C. si dispone di fonti che riferiscono sull’uso politico che di esso ne faceva la Lega Latina mentre risultano quasi inesistenti le notizie pervenuteci sulle origini della sua istituzione come luogo sacro e politico degli Albani, una sorta di «damnatio memoriae» della quale esistono sopravvivenze nelle istituzioni politico-religiose romane quali la figura dei sacerdoti Fetiales, del Dictator, del Rex Sacrorum, etc.
Da qui la rilevanza storico-archeologica dell’individuazione della sua ubicazione in quanto costituirebbe la possibilità di indagare su tutte le sue fasi di sviluppo a partire dai tempi più remoti. Nel tempo ci sono interpretazioni che hanno restituito un certo numero di possibili ubicazioni del Lucus Ferentinae, e quindi del Caput Acquae Ferentinae, sulla falsa riga di quanto già sperimentato, sino ai giorni nostri, per le ricerche del sito della mitica Albalonga.
Il Caput Acquae Ferentinae (ed il suo Lucus), metaforicamente, sta al tempio della ninfa Ferentina (e annesso Foro della Ferentina intesi come siti edificati) come il sistema di villaggi capannicoli degli Albani siti nella omonima Valle stanno ad Albalonga (intesa come Metropoli Albana madre di Roma). Il primo ed il terzo termine di questa proporzione, rappresentano il contesto protostorico del culto comprovato solo dalle frequenti citazioni nelle opere di autori antichi mentre il secondo e quarto termine sono la proiezione dell’immaginario collettivo trasmessoci dagli stessi testi classici e dalle arti figurative rinascimentali e neoclassiche.
Cionostante per Albalonga, la cui inesistenza come metropoli o città madre di Roma è ormai acclarata, conservando però intatta la sua funzione mitografica augustea, per il Caput Acquae Ferentinae è persistente la visione di esso come un tempio edificato, ancora da scoprire, senza considerare che non tutti i luoghi sedi di culto delle acque del Latium Vetus diventeranno edifici templari. Esempio ci è dato dal Lucus della ninfa Egeria sulle sponde del lago di Nemi, considerato meno antico di quello della ninfa Ferentina perchè associato cronologicamente alle vicende del re di Roma Numa Pompilio (VIII-VII secolo a.C.) del quale non vi è traccia.
Il racconto ottocentesco
Girolamo Torquati, storico marinese – contemporaneo del geofisico ed appassionato archeologo Michele Stefano de Rossi – così si esprime a proposito dell’ubicazione del Lucus Ferentinae: «[…] il monte sul quale spiega i suoi verdi tappeti il Prato della Corte (che io ritengo per fermo sia stato il vero luogo della Curia de’ popoli latini) fu sempre chiamato e si chiama tuttora Ferento.
A nord di questo Prato si stende fra boscose pendici una silenziosa valle in cui sgorga da una rupe il capo di acqua freschissima che dà il nome di Capo d’Acqua ai terreni circostanti, il Caput Acquae Ferentinae. Questa rupe scende il capo di acqua riguardata dal Prato della Corte, ovvero dall’opposta sponda della valle, si presenta nell’aspetto di vera voragine, come fu appellata dall’Alicarnasso, voraginem quandam. Dalla parte occidentale di questo Prato una selva antichissima si eleva sopra un vergine suolo, non mai tocco dalla mano dell’agricoltore, il Lucus Ferentinae. Qui, in questo prato furono rinvenuti antichi ruderi resti di fabbriche, condotti di fontane, ed interi edifici nelle vigne circostanti e segnatamente in quelle degli eredi di Saverio Zelinotti e di Giovanni Battista Testa […] considerazione del dotto archeologo P. Bistch prete della Congregazione del Preziosissimo Sangue, il quale ci avvisava che il nome di Corte che tutt’ora conserva questo Prato sia un argomento dell’uso cui serviva, imperciocchè di Coorte propriamente significa «unione». Tale osservazione mi sembra assai giudiziosa; giacchè sia il nome di Coorte si voglia derivare dal latino Cohors che secondo Svetonio significa “moltitudine di uomini”; sia dal verbo cohortor che secondo il Padre della romana eloquenza significa esortare, animare, incoraggiare; sarebbe pur vero che nella prima ipotesi il nome di Coorte verrebbe a significare che quel campo fu un tempo il luogo della riunione di molte genti; e nella seconda ipotesi che il Campo stesso fu il luogo delle Arringhe e delle concioni; come anticamente solevano essere i Fori destinati alle pubbliche assemblee[…]».
I luoghi di G. Torquati: 1 – Via Castrimeniense; 1a – Monte Ferento; 2 – Prato della Corte; 3 Barco Colonna o Bosco Ferentano; 4 – Valle Albana; 5 – Lago Albano; 6 – Valle Latina; 7 – Castrimoenium; 8 – Capo d’Acqua.
Il Torquati, come visto sopra, indica una località «Capo d’Acqua» nell’Albana Vallis come la sorgente corrispondente al Caput Acquae Ferentinae. Altresì l’antichissima selva cui si riferisce il Torquati si identifica con il Barco Colonna, ovvero il bosco Ferentano, un’area di circa 22 ettari la cui peculiarità è quella di aver conservato, come il Parco Chigi di Ariccia la vegetazione caratteristica degli ultimi cinquemila anni e nel quale si avverte ancor oggi l’intensa presenza di un «genius loci». La località Capo d’Acqua ed il Caput Acquae Ferentinae stesso, peraltro, possono essere fatti corrispondere alla sorgente dell’antico fiume Almone che erodendo il tavolato tufaceo di gran parte dell’Albana Vallis crea una lunga e profonda forra all’interno del Barco Colonna e, proseguendo il suo cammino nella Campagna Romana o Valle Latina, si getta nel Tevere nei pressi di Porta San Sebastiano a Roma. Nei territori adiacenti il percorso dell’Acqua Ferentina (il tratto iniziale del fiume Almone) sono stati scoperti, con continuità fino ai giorni nostri, numerosi insediamenti di età protostorica, di seguito la citazione di alcuni di essi fatta dal Torquati:
«[…] Nelle vigne poste al sud-ovest di detto Prato e specialmente nella vigna degli eredi di Saverio Zelinotti e nell’altra del signor Gaudenzio Testa si rinvennero grandiosi vestigi di edifici fra i quali primeggiava una specie di Galleria che il defunto Saverio Zelinotti scoperse nella sua vigna. Questa Galleria era decorata di moltissimi Busti in terra cotta che furono in gran parte vandalicamente spezzati, e guastati, ed in picciola parte a vil prezzo venduti, secondoche mi fu narrato dagli eredi del suddetto Zelinotti.
Non è da dire il danno che da questa perdita ne venne alla Storia; imperocchè si ha ragione di credere che in quelli busti in terra cotta fossero simboleggiate le trenta Città dei Latini prischi che avevano diritto al Comizio; ovvero fossero effigiati i Numi protettori principali delle dette Città. […] Nella vigna del signor Gaudenzio Testa, furono scoperte parecchie camere di bellissimo intonaco, dipinte di vaghi colori e decorate di nicchi e di conchiglie in bel ordine disposti nelle pareti e nelle volte. Oltre a ciò si rinvenne in questa vigna una fontana coi suoi doccioni in piombo, il che mi fa credere che l’Acquedotto scoperto nelle vigne di Pozzo Calvino, a breve distanza dal Prato della Corte servisse l’uso della detta Fontana, la quale fontana secondo il mio avviso, non risaliva già ai tempi remoti del regno o della Repubblica Romana; ma forse all’epoca dell’Impero in cui il lusso dei dominatori del mondo valendosi dell’antichissimo corso d’acqua (forse una delle vene che alimentava il prisco Caput Acquae), portò nelle ville il fasto, la grandezza e i comodi delle città. Questa mia opinione è avvalorata dal fatto che in vicinanza della vigna Testa e precisamente nel viottolo fra il Prato della Corte e la detta vigna si veggono alcuni avanzi di mura reticolare che ci danno sicuro indizio dell’epoca in cui furono edificate, o ristorate. In quella porzione dell’antico Foro che ancora si conserva a Prato, se le glebe ricoprirono gli antichi ruderi; nulla di meno battendo il suolo con il piede si sente in molti luoghi il vuoto sotterraneo, indizio sicurissimo di costruzioni seppellite dal tempo, e dallo scoscendimento della terra dai colli vicini.
Nelle vigne situate nella china Nord-Est di questo prato furono trovate non ha guari molti vasi in terra cotta, diverse fibule di metallo, e molti altri antichissimi oggetti […]».
Nei luoghi attribuiti alle ninfe o alle divinità indiges, i Lucus, nel periodo cui ci si riferisce, potevano essere presenti piccoli altari o are all’aperto. Pertanto la descrizione riportata dal Torquati sul Foro della Ferentina nella quale allude a edifici, decorazioni, effigi ad esso appartenenti, peraltro mai investigati, risultano pertinenti ad edifici destinati ad accogliere i delegati della Lega Latina durante gli ultimi secoli della sua attività. Cionondimeno questi stessi edifici troverebbero la loro ubicazione in prossimità dell’ara sacra alla Dea e/o ad una sua raffigurazione arcaica.
Un luogo antichissimo
La citazione di Festo del Lucus Ferentinae, tema centrale di questa trattazione, è così riportata da G.Torquati: […] prima che i re e consoli intimassero i Concili nel Luco della Ferentina, gli Albani «usque ad Tullum Regem» che è quanto dire prima della distruzione di Alba, vi tenevano le loro Assemblee […] Per questa ed altre ragioni io (Torquati) ritengo per fermo che il Foro della Ferentina fosse l’antico Foro degli Albani […].
Festo altresì afferma che il Lucus Ferentinae è ubicato sotto il Monte Albano e Tito Livio (I,52) aggiunge che lo stesso era anche un luogo di raduno delle truppe della Lega Latina, quindi un’area la cui estensione doveva avere la capacità di accogliere alcune migliaia di uomini con i loro equipaggiamenti, una capacità che sembra possedere l’area del Prato della Corte indicata dal Torquati.
Si è visto altresì che il Lucus è un luogo sacro all’interno di un bosco o parte di esso (termine distinto da nemus che in latino indica genericamente il bosco) che si trova nella Albana Vallis citata da T. Livio. Quest’ultima si sviluppa circolarmente per una lunghezza di circa 20 km ed è individuabile dal territorio pianeggiante posto tra la cinta craterica esterna del Vulcano Laziale (Tuscolano-Artemisio) e quella interna (Faete-Campi d’Annibale). Al suo interno, sul Monte Albano e sulle creste perimetrali e sponde dei laghi di Nemi e Albano, sono disseminati numerosi insediamenti che datano dall’eneolitico alla età del Ferro. Un numero rilevanti di questi insediamenti protostorici, aventi di massima la stessa datazione tra il XII e il IX secolo a.C. viene riscontrata in un settore specifico che indicheremo come «pianori» (un termine utilizzato da Dionigi di Alicarnasso), di forma poligonale, corrispondente all’altipiano sui Colli Albani che dai piedi del Monte Albano (costituito dal limite dell’attuale Via delle Barozze), ad una altitudine media di circa 430 mt, scende leggermente fino ai segmenti che congiungono i punti riferiti alle località di Monte Crescenzio, Marino e Villa Cavalletti posti a circa 330 di altitudine media, per una distanza di circa 4,5 km e, dall’altro lato, dalle linee che uniscono le coste orientali del lago Albano (percorso dell’attuale Via dei Laghi) ai Monti Tuscolani (percorso della Via Latina, attuale Via Anagnina) per una distanza di circa 6,5 km. Una estensione territoriale, all’interno dell’Albana Vallis, di circa 30 kmq. Peraltro, una significativa concentrazione degli stessi insediamenti è testimoniata dai rinvenimenti archeologici posti sulle aree contigue al percorso dell’Acqua Ferentina per tutto il tratto che va da Valle San Lorenzo al Bosco Ferentano. Quest’ultimi sembrano far parte del più antico gruppo di insediamenti nell’area dell’Albana Vallis, settore dei «pianori» intorno al percorso dell’Acqua Ferentina. E’ verosimile altresì che, per un lungo periodo della loro fase iniziale, la comunità protostorica appartenente a questi insediamenti abbia fatto riferimento ad un suo specifico luogo sacro da identificarsi con il Lucus Ferentinae e il suo Caput Acquae, la cui ubicazione potrebbe trovarsi lungo il percorso iniziale dell’Acqua Ferentina in prossimità delle località di Capo d’Acqua e Valle San Lorenzo, luoghi indicati come la sorgente dell’Acqua Ferentina. La scelta di questo settore particolare dei «pianori» è dovuta soprattutto alla disponibilità, per un lungo tratto, dell’Acqua Ferentina e dalla generale amenità di questi luoghi rispetto alle altre aree dell’Albana Vallis. Infatti essi sono percorsi da diversi corsi d’acqua, meglio esposti dal punto di vista dell’illuminazione solare, ad un’altitudine non molto elevata, di conseguenza più adatti alle coltivazioni agricole e all’insediamento. Di contro, molte aree della stessa Albana Vallis, non rispondevano alla somma di tutti questi elementi, pur tornando utili per l’allevamento, sia perché di piccola estensione sia perché risultavano, nel periodo, coperte da grandi superfici di acqua ed altresì poste ad una altitudine maggiore (Doganella, Vivaro, 600 mt circa di altitudine). I «pianori», così Dionigi di Alicarnasso, LXVI I, scrive di essi riguardo all’amenità del luogo: «[…] Ai piedi della città (Albalonga) si stendono dei pianori che offrono una splendida vista e producono, in abbondanza, vino e frutti di ogni specie, per nulla inferiori ai prodotti di altre zone d’Italia. Pregevole soprattutto è il cosiddetto vino Albano, dolce e gradevole, superiore a tutti gli altri, tranne che al vino denominato Falerno […]. Le probabilità che si riferisse ai territori dell’Albana Vallis compresi tra la Via Latina e la Via Castrimeniense da un lato e tra Monte Crescenzio-Marino-Villa Cavalletti e i piedi del Monte Albano (Via delle Barozze) dall’altro, appaiono molto elevate.
L’estensione dei «pianori», settore dell’Albana Vallis, racchiusi all’interno della poligonale ed il percorso dell’Acqua Ferentina.
L’Acqua Ferentina
Capo d’Acqua, alveo dell’Acqua Ferentina. Masso di pietra albana squadrato, mt 1,70; largo 70 e spesso 0, 40
1 – Percorso dell’Acqua Ferentina; evidenziazione del tratto all’interno del Barco Colonna; 3 – area corrispondente alle aree di Capo d’Acqua e Valle San Lorenzo, luoghi di possibile ubicazione del Caput Acquae Ferentinae; 4 – parte della Valle Albana; 5 – prosieguo del percorso dell’Acqua Ferentina lungo il Fosso delle Petrare.
La sorgente ed il percorso del fiume Almone (cartello informativo del Parco Regionale dell’Appia Antica presso la sua sede della Cartiera Latina)
Culti pagani e cristiani, continuità di appartenenza del culto al luogo
Lo scioglimento della Lega Latina conseguente alla sconfitta dei Latini contro Roma, nel 338 a.C. unitamente all’acquisita prevalenza del culto a Juppiter Latiaris sul Monte Albano e alla istituzione del santuario di Diana Nemorense porterà ad una perdita di rilevanza dei luoghi della Dea Ferentina e del suo culto. Quest’ultimo, con l’editto dell’imperatore Teodosio, del 380 d.C., il quale fa della religione cristiana l’unica religione dello stato romano, verrà completamente abbandonato insieme a tutti i luoghi e i culti delle antiche divinità. Da quel momento inizierà la persecuzione degli antichi culti politeistici definiti come pagani in relazione agli ultimi luoghi dove dovettero essere sradicati cioè dai pagus (i villaggi rurali fuori dalle città).
Dopo di allora la continuità dell’antica sacralità di luoghi pagani, intesa come memoria o ricordo, venne paradossalmente assicurata da chi voleva farne perdere ogni traccia, come nella consuetudine di sovrapporre edifici e simboli della cristianità a costruzioni o luoghi la cui risonanza di antiche credenze pagane era più forte e veniva ancora avvertita.
In questo ambito, da quanto è stato detto in precedenza, si notano le associazioni tra il culto della Madonna dell’Acquasanta, nell’omonima chiesa di Marino e quello alla ninfa Ferentina nel Caput Acquae Ferentinae come una sorte di interpretazione e rielaborazione cristiana di un antico culto pagano. Il primo, attestato dal XIII secolo dall’edificazione di un sacello sacro nel punto in cui sgorgava una sorgente, un rigagnolo d’acqua ritenuta miracolosa, identificata con la cosiddetta Marrana di San Bonaventura, che va a confluire nell’Acqua Ferentina. In realtà questo culto mariano appare essere molto più antico come indicato da un affresco sacro della Madonna posto all’interno della chiesa, di autore ignoto, datato al IV-VI secolo d.C. Un ulteriore indizio sull’appartenenza di questi luoghi a credenze pagane lontanissime nel tempo ci viene dall’iscrizione su una lapide commemorativa posta sul ponte Gregoriano, realizzato nell’anno 1830, per facilitare l’ingresso alla cittadina di Marino, nella quale viene riportato che la sua costruzione è stata fatta vicino all’«Acqua Ferentina e al suo bosco sacro».
Lapide commemorativa sul ponte Gregoriano: […] viam hanc prope Acquas Ferentina et AD Nemus Sacrum duecentem […]
Ponte Gregoriano con la sua lapide commemorativa. Di lato l’ingresso al Bosco Ferentano
Tratto dell’Acqua Ferentina sotto il ponte Gregoriano, lambisce il Fontanone (antico lavatoio pubblico) e prosegue verso il Fosso delle Petrare
La chiesa della Madonna dell’Acquasanta, nelle immediate adiacente del ponte Gregoriano, al cui interno vi è il luogo dove sgorgava l’acqua e l’antica effige della Madonna.
La chiesa della Madonna dell’Acquasanta in un disegno del XIX secolo d’anonimo; Raccolta Foto de Alvariis
Tratto dell’Acqua Ferentina nel fosso delle Petrare presso le di cave di peperino, sovrastata dall’area del Bosco Ferentano indicata come macchia dell’Intergo sulla quale si snoda un tratto della via Castrimeniense
Appare qui appropriata la citazione tratta da Walter Burkert, storico delle antichità del XX secolo, riferite ad una caratteristica delle ninfe, in particolare: «il culto di queste divinità è limitato solamente dal fatto che rimangono inseparabilmente identificate con una specifica località».
Conclusioni
Abbiamo visto sopra che Festo identifica il Foro della Ferentina, la sede delle riunioni della Lega Latina, come il luogo in cui, in precedenza, erano solite avvenire le assemble/riunioni degli Albani. Questo appare come un buon punto di partenza per nuovi scenari di indagine sul Caput Acquae Ferentinae, associati a nuove metodologie di ricerca, che non tengano più esclusivamente conto, pur traendone le indicazioni utili, del prevalere altalenante di una ipotesi sull’altra. Infatti, le diverse interpretazioni sulla sua ubicazione, sino ad oggi, non hanno restituito risultati certi e condivisi. Pertanto lo sguardo andrebbe allargato focalizzandolo su quei territori che, più di altri, restituiscono indizi e riferimenti, di tipo archeologico, onomastico, toponomastico e di morfologia del territorio. Risulta chiaro dall’esposizione fatta l’indicazione di questi luoghi all’interno dell’Albana Vallis contenuta da due tratti viari antichissimi, la Via Castrimeniense da un lato (corrispondente di massima alla moderna via dei Laghi) e la Via Latina (l’attuale via Anagnina) da quello opposto, si tratta dei territori (pianori) contigui alla sorgente e al percorso dell’Acqua Ferentina, cioè: Valle San Lorenzo, Capo d’Acqua, Pozzo Calvino o Carpino, Prato della Corte, Costa Caselle, il Barco Colonna o Bosco Ferentano.
In tale ricerca la conoscenza dei luoghi è un requisito essenziale per il tentativo di localizzazione dell’antichissimo Caput Acquae Ferentinae, di probabile identificazione con la sorgente dell’acqua Ferentina, coincidente con la sorgente ed il primo tratto del fiume Almone. Questi pertanto costituiscono i luoghi della ricerca sul campo collocati all’interno di un lucus, anche in una grotta naturale o ciò che resta di essi. Indizi utili sono i resti di un altare o ara in pietra albana (lapis albanus), probabili frammenti di rappresentazioni coroplastiche della ninfa-dea indigites Ferentina oppure da ciò che rimane delle offerte votive tipiche per i culti delle acque sorgive, rimasti celati per tutto questo tempo.
Nei pressi dell’ingresso al Bosco Ferentano o Barco (Parco) Colonna, oggi Parco della Rimembranza a Marino