ARCHEOLOGIA

PREISTORIA E PROTOSTORIA DEI COLLI ALBANI: IL NEOLITICO

In base ai dati archeologici noti, sappiamo che durante il periodo definito convenzionalmente come Neolitico, Colli Albani risultano praticamente disabitati, fatta eccezione per alcune sporadiche tracce di superficie. Al contrario, per lo stesso periodo, nei territori posti tra i Colli e la piana del Tevere e dell’Aniene, la cosiddetta Campagna Romana, si hanno numerose testimonianze archeologiche di comunità neolitiche che possono far luce sulle dinamiche di popolamento di questi territori sin di tempi più antichi.

 

PREISTORIA E PROTOSTORIA DEI COLLI ALBANI

Interazione tra le attività del Vulcano Laziale e gli insediamenti neolitici

 (di Adolfo Masi)

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      Il territorio del Lazio Antico (Latium vetus) compreso tra Tevere e Aniene. Al centro della pianura si erge il maestoso Vulcano Laziale (i Colli Albani)

 

Le ricerche archeologiche degli ultimi decenni nella Campagna Romana, effettuate con continuità e sistematicità su grandi aree, (grazie all’applicazione dell’obbligo dei sondaggi archeologici preventivi connessi con l’inizio di ogni attività edilizia), hanno prodotto una prima ragguardevole ricostruzione sulle fasi iniziali di insediamento delle comunità neolitiche.  L’uso di nuove metodologie di datazione utilizzate in queste ricerche, hanno permesso altresì di inserire queste comunità in un quadro temporale di tipo «assoluto». Inoltre, se si tiene conto che i sondaggi, effettuati su piccole porzioni di terreno, hanno portato al rinvenimento di diverse capanne neolitiche ed eneolitiche, è facilmente intuibile che scavi intensivi, laddove possibile effettuarli, potrebbero riportare alla luce interi villaggi.

Inoltre, di primaria importanza sono stati i risultati degli studi geologici sull’attività del Vulcano Laziale durante l’Olocene (epoca geologica in cui ci troviamo, iniziata convenzionalmente 11.700 anni fa) i quali, messi in relazione con i dati archeologici, ricostruiscono le modalità dei primi insediamenti umani durante la Preistoria. Le relazioni esistenti tra le ultime manifestazioni di attività del Vulcano Laziale ed alcuni di questi insediamenti neolitici saranno l’oggetto della presente trattazione.

 

Il Neolitico e le sue prime aree di sviluppo: Anatolia e Siria.

Facendo una breve panoramica delle vicende umane di questo periodo iniziamo dicendo che il Neolitico (da neos=nuovo e lithos=pietra), è la «nuova età della pietra» il cui inizio ha tempi e modi differenziati nelle varie aree geografiche. Intorno alla fine del X ed inizio del IX millennio a.C. gran parte delle comunità umane scoprono una nuova forma di vita a carattere sedentario che diventa prevalente rispetto al nomadismo. Si accompagnano a ciò anche profondi cambiamenti di carattere non solo tecnologico ma anche sociale ed ideologico. Il termine «neolitizzazione» o «rivoluzione neolitica» sono coniati dall’archeologo anglosassone Gordon Childe ed indicano appunto l’insieme di questi processi.  Le testimonianze più antiche di economia produttiva neolitica sono localizzate nel Vicino Oriente, nel corso del medio Eufrate in Siria e l’Anatolia sud-orientale, dove crescevano spontaneamente quei cereali che venivano raccolti dai gruppi nomadi e poi coltivati, in quest’area vivevano specie animali che vennero addomesticate ed allevate in un periodo compreso tra il 9000 a.C. e 6000 a.C. I siti maggiormente conosciuti in quest’area sono quelli di Göbekli Tepe del X millennio a.C. e Çatalhöyük dell’VIII millennio a.C. che appaiono già come centri molto sviluppati, riportando ancora indietro nel tempo l’inizio del processo di neolitizzazione in quest’area.

 

                           

 

 

 

 

 

 

                           Göbekli Tepe                                                                                                                          Çatalhöyük

 

Dal Vicino Oriente il nuovo modello economico si diffuse in tutta l’Europa, ciò è suffragato da recenti studi paleoambientali e archeozoologici i quali affermano l’impossibilità di pratiche di domesticazione autoctona nel Mediterraneo occidentale per l’assenza in quest’area sia di cereali spontanei sia delle specie selvatiche della capra e della pecora mentre vi abbondano resti di bovini e suini selvatici (uro e cinghiale) addomesticati nel neolitico e naturalmente il cane, addomesticato probabilmente già nel corso del Paleolitico.

Le più antiche piante coltivate dai primi agricoltori neolitici sono comprese in un gruppo ristretto di cereali quali l’orzo, il farro, il frumento, alcuni legumi come la lenticchia, il pisello, il favino e il papavero da oppio. Quest’ultima coltivazione risulta legata a pratiche di tipo sciamanico iniziatiche come descritto in Documenti Sumeri che risalgono al 4000 a.C. i quali testimoniano come l’essere umano, sin dall’alba della scrittura, facesse uso dell’oppio per scopi rituali. L’uso di questa pianta è stato riscontrato anche nei riti sacri dell’antica Grecia come quello di Demetra e dei Misteri Eleusini. Tracce di coltura di oppio sono state altresì trovate anche presso il villaggio delle Macine, un insediamento perilacustre dell’età della media età bronzo, 1600 a.C. circa, sulle sponde del lago Albano.

 

     Ideogrammi sumeri che rappresentano la coltivazione dell’oppio 

                   Capsula di oppio                                                                 

 

Il Vulcano Laziale ovvero, i Colli Albani e la Campagna Romana

Il territorio della Campagna Romana e dei Colli Albani all’arrivo dei primi gruppi parentali neolitici, provenienti dal sud della penisola, si presentava come una vastissima e fitta foresta percorsa da numerosi corsi d’acqua che, per buona parte, scendevano dai Colli Albani. In questo tipo di ambiente costruire un insediamento neolitico richiese come prima cosa l’attuazione della pratica del «taglia e brucia» (slash & burn, pratica studiata nei lavori etnografici) attraverso la quale si disboscavano gli appezzamenti di terreno da destinare alle coltivazioni agricole. Questo iniziale nuovo modello di sussistenza spiegherebbe l’estensione areale, anche fino a centinaia di chilometri, di gruppi culturali sostanzialmente omogenei, rispetto al loro insediamento originario. Infatti, l’apparente espansione, desunta dalla presenza di cultura materiale più o meno omogenea in aree anche molto distanti fra di loro, può essere stata causata dall’impoverimento ed infertilità dei terreni coltivati dopo un periodo prolungato di anni. Impoverimento dovuto alla mancanza di conoscenza della pratica della rotazione delle colture, al quale seguivano periodi di insufficiente raccolto che spingevano le comunità alla ricerca di nuovi terreni fertili, o da disboscare, iniziando così un nuovo ciclo di coltivazioni ed un nuovo insediamento.

Le abitazioni consistevano in capanne di forma circolare o ellittica, spesso parzialmente scavate nel terreno e con copertura straminea, le quali formavano villaggi più o meno estesi, talvolta difesi da un fossato e sempre situati nei pressi dei campi messi a coltivazione. Durante il neolitico viene meno l’uso delle grotte come abitazioni ma esse continuano ad essere utilizzate unicamente per seppellire i defunti o per scopi rituali. Le sepolture, di varia forma e anche all’interno delle capanne, attestano sempre con gli abbondanti corredi la credenza del ritorno in vita dopo un sonno più o meno lungo del defunto. Molto spesso il defunto veniva deposto nel sepolcro nella posizione rannicchiata che può implicare il concetto del risveglio, ma anche quello della posizione del feto nel grembo della madre e quindi prossimo alla rinascita.

 

Capanna neolitica

 

La mietitura veniva fatta con falcetti costituiti da un manico di legno o di osso in cui erano fissate in serie con mastice lame in selce su un unico profilo. Per la triturazione erano usate macine consistenti in pietre piatte o concave sulle quali i cereali venivano ridotti in farina con l’aiuto di macinelli anch’essi di pietra. Risale al Neolitico la scoperta di intrecciare su telai i fili di lana ricavati dalla tosatura delle pecore che venivano usati per realizzare vestiti e coperte molto più pratici delle pelli di animali usate fino ad allora. È l’inizio della tessitura testimoniata dai rinvenimenti archeologici di fuseruole  per filare la lana e pesi di telaio. I tessuti ottenuti venivano usati per realizzare vestiti e coperte molto più pratici delle pelli di animali usate fino ad allora.

 

Neolitico – Fuseruole e pesi da telaio.  

 

 

Macinello in pietra trachitica

 

Neolitico: paesaggio ed attività quotidiana nella ricostruzione di un insediamento.

In Italia il Neolitico è attestato a partire dal VI millennio a.C. nell’area meridionale (Sicilia e Puglia) ed è attribuito all’arrivo di genti appartenenti alla cultura della ceramica impressa (ottenuta con l’impressione della conchiglia del mollusco Cardium Edulis sulla ceramica), arrivate via mare, dal Vicino Oriente, alle Tremiti e sulle coste dell’Italia Meridionale, da qui si sono sparse per tutta la penisola. Una periodizzazione convenzionale prevede per il Neolitico italiano una fase Antica datata dal VI alla prima metà del V millennio a.C. definita dalle culture della ceramica impressa, dipinta e graffita con la presenza dei primi uomini pastori-agricoltori; il Neolitico Medio nella seconda metà V millennio a.C. con le culture della ceramica dipinta; il Neolitico Finale alla fine IV ed inizi III millennio a.C. con le culture della ceramica di Serra d’Alto e Diana-Bellavista.

 

Cardium edulis, utilizzata per le decorazioni sulla ceramica durante il Neolitico Antico

 

Neolitico: paesaggio ed attività quotidiana – ricostruzione di un insediamento

 

VI, V millennio a.C. – 1-5. esempi di ceramica Impressa medio-tirrenica; 6-11. Villaggio perilacustre di La Marmotta (lago di Bracciano): 6-9. ceramiche dipinte; 10. modellini fittili di piroghe;11. metacarpo di bovino decorato (da: Daniela Cocchi Genick, 2009)

La cultura di Serra d’Alto è una cultura neolitica dell’Italia che si sviluppò durante il V millennio a.C. Prende il nome dall’omonimo sito nella zona di Matera. Nei periodi immediatamente successivi con piena fioritura nei primi secoli del IV millennio a.C. compare la cultura di Diana o cultura di Diana-Bellavista. Il suo nome deriva dal sito di Diana, ai piedi dell’acropoli di Lipari, nelle Isole Eolie nel nord della Sicilia. Il nome «Bellavista» è quello di una piccola necropoli di tombe rupestri nei pressi di Taranto. E’ presente dal centro a sud della penisola italiana e in Sicilia.

 

IV, inizi III millennio a.C  – E-F) Ceramiche della facies di Serra d’Alto e dello stile di Serra d’Alto acromo. G) Ceramiche dello stile di Diana-Bellavista (da: Daniela Cocchi Genick, 2009).

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COLLI ALBANI

Testimonianze di frequentazione dei Colli Albani durante il Neolitico Antico sono scarse e attestate in zone che non sono state interessate dagli eventi eruttivi olocenici. Si tratta del Colle dei Cappuccini presso Albano, di Casale del Pescatore (Montecompatri) resti di abitato. Il Neolitico recente/finale è quasi del tutto assente a meno di una punta di lancia o ascia in pietra albana rinvenuta recentemente  a Rocca di Papa in località Costarella. Appare evidente pertanto, pur considerando la carenza di indagini sistematiche, che i territori dei Colli Albani non apparivano ai coltivatori neolitici un luogo ideale in cui potersi insediare per svolgere attività legate all’agricoltura. Ciò a causa delle fitte foreste che ricoprivano i rilievi ma soprattutto per il protrarsi di fenomeni eruttivi che rendevano l’area inospitale e pericolosa.

 

SUBURBIO

Nell’area del suburbio romano che si estende alle sue pendici abbiamo invece una ingente mole di dati archeologici riferibili a tutte le fasi del Neolitico ed ai periodi successivi. È dunque in queste aree in prossimità dei Colli Albani che si sono avuti i primi insediamenti e la loro fase antica è caratterizzata da gruppi di abitati molto piccoli composti da nuclei familiari inferiori alla decina. Questi avevano un’economia agricola e pastorale ben sviluppata, la ceramica risulta molto semplice, decorata da impressioni durante la fase neolitica più antica. Nelle successive fasi del Neolitico medio e recente i villaggi aumentano di numero e dimensione (arrivando ad un numero ipotizzato di circa 30 famiglie); in molti casi i villaggi sono marginati da fossati artificiali a proteggere l’abitato da agenti atmosferici o da animali. Le modalità di occupazione del territorio indicano come venissero privilegiati i piccoli margini terrazzati lungo gli affluenti dei fiumi Tevere e Aniene dove numerosi sono gli insediamenti identificati, anche se, in misura minore, tracce di abitati si riscontrano anche su pianori nei pressi di sorgenti e in zone palustri.

 

LE ULTIME FASI DEL VULCANO LAZIALE

Consideriamo ora i fattori geomorfologici che hanno influenzato la presenza umana durante il periodo Neolitico sui Colli Albani e nella pianura ai suoi piedi.  Notiamo che l’ultima grande fase eruttiva del Vulcano Laziale, detta fase idromagmatica (270.000-20.000 anni fa), diede origine al formarsi, successivamente al collasso dei crateri di eruzione, di coni rovesciati i cui incavi verranno colmati dalle acque dei laghi Albano, Nemi e Vallericcia. Successivamente, ulteriori eventi eruttivi aperiodici provocarono lo svuotamento a più riprese del Lago Albano con la formazione di un flusso di lahar che, trasbordando i margini meno elevati del lato settentrionale del cratere nei pressi di Monte Crescenzio, colmò le valli del territorio sottostante formando un esteso pianoro che da Ciampino raggiunge l’area dell’Anagnina e della Tuscolana fino al corso del Fosso del Giardino. La datazione al 4170-4040 a.C. della ripresa della vita al di sopra del fango vulcanico o lahar nel sito di Quadrato di Torre Spaccata ha permesso ai geologi di collocare cronologicamente questo evento catastrofico in un momento ascrivibile alla seconda metà del V millennio a.C.

 

L’AZIONE DEL LAHAR

La storia di questo fango vulcanico inizia con gli studi del geologo Giuseppe Ponzi nella seconda metà del XIX secolo che definisce questi depositi come «Conglomerato del Tavolato» oggi chiamati lahars, ossia «una colata di fango (a volte bollente) costituita da materiale piroclastico (lapilli e cenere vulcanica) e acqua, che scorre lungo i fianchi del vulcano travolgendo qualsiasi cosa con grande impeto». Il lahar ha il comportamento, la consistenza e la viscosità del cemento: fluido quando è nella fase di movimento, mentre solidifica rapidamente quando si ferma. Queste colate di detriti e fango scorrono come liquidi, perché contengono materiale in sospensione, e generalmente hanno una consistenza simile al calcestruzzo umido. Scorrono per gravità e seguono depressioni e valli, ma possono aprirsi in caso di area pianeggiante.

 

Un lahar conseguente all’eruzione del Galunggung, in Indonesia, nel 1982.

Sempre durante il XIX secolo, vennero alla luce nuove testimonianze archeologiche, come la necropoli dell’epoca del bronzo di Pascolare di Castel Gandolfo, lungo le pendici del lago Albano, interpretata da Rodolfo Lanciani come “coperta da uno strato di «lava»”, ridefinendo così il vulcano come attivo in epoca recente e la necropoli come una nuova Pompei. Ciò fu lungamente dibattuto da parte di una commissione di altissimo livello costituita dallo stesso geologo Ponzi, Pigorini (fondatore omonimo Museo Preistorico) e dal De Rossi (geofisico, sismologo),  ma non si addivenne ad una conclusione inequivocabile circa la possibile sepoltura di detta necropoli da prodotti vulcanici.

Al dibattito sullo stato di attività del Vulcano Laziale e della sua possibile interazione con gli insediamenti di epoca preistorica e storica «giovarono» il prolungato sciame sismico e la fuoriuscita di gas da alcuni terreni che caratterizzò proprio la zona dei Colli a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del XX secolo. Motivo per cui tra il 1998 ed il 2004 l’area dei Colli Albani fu oggetto di studi stratigrafici di dettaglio nell’ambito del progetto di Cartografia Geologica nazionale, che hanno portato ad un significativo avanzamento della conoscenza dei prodotti e della storia dei Colli Albani in generale, ed in particolare del cratere del lago Albano con l’identificazione di 7 eruzioni ad esso legate, di cui ben due più recenti di quelle del Peperino Albano (o lapis albanus) avvenute durante la fase idromagmatica.

Le datazioni disponibili indicano che i primi eventi di lahar avvennero circa 21.089 anni fa, raggiungendo le aree più distali coperte dalla Formazione del Tavolato, rinvenuti nella zona di Casetta Mistici (Torre Angela), probabilmente favoriti nella loro mobilità dalla presenza di valli ancora ben incise durante il periodo glaciale e dunque favorevoli alla canalizzazione dei flussi. Le ripetute esondazioni hanno determinato il sovraccumulo e progressivo riempimento del reticolo fluviale modellato nel corso dell’ultima epoca glaciale, con depositi da lahar. Tale progressivo sovraccumulo ha conferito l’aspetto, largamente pianeggiante, della zona.

In realtà, la zona ha forma vagamente triangolare con vertice in prossimità di Ciampino, un lato a direzione NW-SE bordato dalla via Appia che corre sul rilievo della colata di lava di Capo di Bove e l’altro lato a direzione circa N-S che corre verso Tor Vergata e Torre Angela. Ha una morfologia estremamente pianeggiante, molto diversa dalla tipica morfologia della Campagna Romana. Quest’ultima è usualmente caratterizzata da un regolare reticolo fluviale che intaglia radialmente, rispetto ai Colli Albani, il plateau tufaceo formatosi durante la prima fase di attività del vulcano, tra circa 600.000 e circa 355.000 anni fa.

 

La superficie in giallo evidenzia l’area del Tavolato di conglomerato o lahar che si estende su una superficie conoide di circa 24 kmq

Gli studi e le ricerche sul campo diedero forma all’idea che l’origine delle colate di lahar potessero essere associate al lago ospitato proprio dal cratere di Albano e che i Colli Albani, lungi dall’essere un vulcano addormentato, mostravano con chiarezza i segni tipici di un vulcano quiescente. La fuoriuscita di gas delle profondità delle acque del lago, così come avvenuto recentemente in misura ridotta in altre aree adiacenti ai Colli,  generando un notevole aumento di volume per liberazione degli addensamenti di CO2 avrebbero favorito il ripetersi degli eventi di lahar nel corso dell’Olocene fino almeno a circa 5.900 anni fa ovvero 3.900 anni a.C.).

Rispetto alle modalità di insediamento delle genti neolitiche si può dire che l’assenza di insediamenti pre-Neolitici nella zona è ben giustificabile se si pensa che l’area è quasi interamente coperta dai depositi di lahar olocenici e dunque qualunque preesistenza ne risulterebbe coperta, mentre l’espansione dell’insediamento nella zona del Tavolato a partire dal Neolitico-Eneolitico in fasi alterne è legata alla disponibilità di acqua.

I racconti di eventi connessi con l’attività del Vulcano Laziale, narrati dagli storici romani Plutarco e Tito Livio, relativi all’improvviso rovesciamento delle acque del lago Albano verso la Campagna Romana, che sarebbe accaduto nel 398 a.C. e che portò dopo pochi anni, nel 394 a.C., alla costruzione del tunnel emissario, vennero messi in dubbio dal mancato ritrovamento di depositi da lahar posteriori all’età del Bronzo.  Motivo per cui inizialmente si ipotizzò che essi potessero rappresentare una sorta di trasposizione in forma scritta di narrazioni ereditate dalle epoche di insediamento preistorico, quando di certo gli abitanti dei villaggi Neolitici e i successivi assistettero ai grandi eventi di lahar. Ma questi ultimi eventi di tracimazione sono confermati dal ritrovamento nella zona di Ciampino di un deposito da debris flow – evento simile ai lahar ma di portata inferiore –  ad esso legato, testimoniato archeologicamente, di massima, con la datazione degli storici romani. Pertanto, gli studiosi hanno potuto accertare che i ripetuti episodi di innalzamento del livello della falda e del lago hanno portato a più riprese alla fuoriuscita del lago in un periodo compreso tra circa 23.000 anni fa e l’epoca romana repubblicana e che l’escavazione del tunnel drenante (398-396 a.C.) che ancora oggi regola il livello del lago può  a buon diritto essere definito come la prima misura di mitigazione del rischio vulcanico nella storia umana.

 

Flusso di debris flow sulle Alpi Orientali

 

SITI NEOLITICI SUL CONGLOMERATO DEL TAVOLATO O LAHAR E TRACCE MATERIALI SUI COLLI ALBANI

 

 

Si è visto in precedenza come l’attività del Vulcano Laziale, abbia influenzato sui Colli Albani gli insediamenti delle genti neolitiche alle sue pendici tra la fine del V e il IV millennio a.C. Vediamo ora quali sono e dove sono collocate queste comunità neolitiche testimoni delle colate di lahar e di debris flow.

 1 – Casetta Mistici

Il sito è ubicato alla periferia SE di Roma, tra la Via Prenestina e la Via Casilina, nel quartiere di Torre Angela.

2 – Tenuta di Torre Nova – Tor Vergata

Insediamenti, la località si presenta pianeggiante, leggermente sopraelevata rispetto al corso del fosso dell’Incastro, affluente dell’Aniene. I saggi di scavo sono stati effettuati in diverse località, tra le quali:

  • Fosso del Giardino.
  • San Gaudenzio. Alla sommità del banco di lahar vennero identificate numerose impronte di animali (bovini e piccoli uccelli) ed una umana simili a quelle identificate sulla sommità delle colate di lahar dell’area di Casetta Mistici e della Romanina, localizzate lungo la stessa valle a ca. 2 km di distanza. Queste testimoniano il passaggio di genti e animali durante il Paleolitico in una fase in cui il lahar non si era ancora cementato, indizio di una colata recente;
  • Fosso del Cavaliere.

3 – Torre Spaccata. Insediamenti rinvenuti nelle località:

  • Quadrato di Torre Spaccata, tra il km 10.500 della Via Tuscolana e il Grande Raccordo Anulare. Vennero identificate due capanne del neolitico finale delle dimensioni di 9,50 x 5,50 m e 9,50 x 4,50;
  • Piscina di Torre Spaccata.
  • Fosso di Torre Spaccata. valle del fosso di Torre Spaccata, in un’area libera da edificazione tra viale P. Togliatti e via di Torre Spaccata. La serie di fitti sondaggi ha messo in luce una sequenza alluvionale con strati alternati di limi, ghiaie e sabbie di varie granulometrie intercalati a eventi di lahar prodotto dal lago/cratere di Albano.

4 – Unità Anagnina – Area di affioramento di frammenti ceramici e litici, databili tra il Neolitico medio;

5 – Osteria del Curato:

  • Stazione “Anagnina”. Sito individuato durante la realizzazione della Stazione della metropolitana (linea A) di Anagnina lungo la via Tuscolana in prossimità del Fosso di Gregna.
  • Via Cinquefrodi. L’abitato è ubicato sul lato destro della via Tuscolana nei pressi del Grande Raccordo Anulare, e il suo nome deriva dalla via di accesso al primo cantiere di scavo (area A) posto sulla via Cinquefrondi. Ha intaccato con le sue strutture, il banco di tufo di «Villa Senni» in cui era incisa la paleovalle del fosso di Gregna e il possente deposito del lahar di Albano che l’aveva successivamente colmata. La frequentazione preistorica dell’area comprende tracce di un abitato riferibile al Neolitico recente (facies di Diana) e una paleosuperficie con alla base numerose strutture in negativo (buchi di palo, canalette, fosse, pozzetti, ecc.).

6 – Vigne di S. Matteo. Sito ubicato in via delle Vigne di S. Matteo, 20 (zona di Vermicino-Passo Lombardo), ai margini NE del distretto vulcanico dei Colli Albani.

7 – Sant’Andrea. il sito è ubicato sulla sommità della collina dove sorge l’attuale quartiere di Sant’Andrea (q. 147 s.l.m.) e dista circa 430 m da Villa Senni (luogo che ha dato il nome ad una delle più famose colate piroclastiche a tufi del Vulcano Laziale). La collina sovrasta sul lato ovest la Valle Cupella, solcata dal fosso omonimo che confluisce poco più a nord ovest con la Marrana dell’Acqua Mariana.

8 – Colle dei Cappuccini (Albano). Rinvenimento di superficie di olletta decorata con file orizzontali di tratti semicurvi ottenuti con l’impressione di un punzone e un frammento di ascia in pietra levigata;

9 – Costarella (Rocca di Papa). Nell’area corrispondente a Via del Prato Fabio, ad un’altitudine di circa 800 mslm, durante lo scavo per la costruzione di un piccolo muretto di contenimento è stata rinvenuta, ad una profondità di circa 70 cm la punta di lancia o ascia in pietra albana in figura. Attualmente è custodita, in attesa di una sua più precisa datazione, insieme ad altri reperti provenienti dalla medesima area, presso il Museo Civico di Albano.

 

Rocca di Papa, Costarella (via Prato Fabio). Punta di lancia o ascia in pietra albana: h 9 cm; larghezza 4,5 cm; spessore medio 1 cm

10 – Casale del Pescatore – Rinvenimenti di resti di un abitato del Neolitico Antico su di un pianoro posto tra il bacino di Castiglione e l’ex-lago di Pantano Borghese.

 

 

CONCLUSIONI

Si possono meglio caratterizzare queste antiche comunità neolitiche, così come quelle dell’eneolitico e dell’età del bronzo, affermando che la loro identità culturale è affermata dai differenti modi di lavorazione/tecnologie dei manufatti, dalle loro forme e decorazioni, cioè dalla loro cultura materiale. Da alcuni decenni ulteriori discipline forniscono i loro contributi attraverso i quali oggi possiamo meglio comprendere la complessità delle più antiche comunità umane. Si tratta dell’Antropologia Culturale che ha dato luogo all’Etnoarcheologia  e rivolge la sua attenzione allo studio delle strutture socio/politico/economiche e delle credenze religiose; dell’Antropologia Fisica e Tafonomia, ovvero lo studio dei resti umani e dei loro contesti funerari che ci restituiscono informazioni demografiche, sullo stato di salute, sull’alimentazione, sull’età alla morte e la durata media della vita avvalendosi della biologia e genetica umana; dell’Archeozoologia e Archeobotanica; dei sistemi scientifici di datazione, C14, dendocronologia, ecc..

I nomi che noi conosciamo delle suddette comunità culturali sono stati pertanto attribuiti, nella quasi totalità, in base ai toponimi di luoghi, chiamati aree nucleari, in cui maggiore risulta la presenza di testimonianze materiali aventi le stesse caratteristiche simboliche e morfologiche. Tali testimonianze materiali costituiscono peraltro il più remoto indizio del processo di etnogenesi dell’identità culturale delle prime comunità umane conosciute, dei primi popoli. La formazione dei nomen associati ai popoli esistenti sul nostro territorio inizia probabilmente, per alcuni di essi, nel corso della fase finale dell’età del bronzo ed inizi dell’età del ferro, all’incirca tra l’XI e il IX secolo a.C.. Il primo elenco di questi nomen ci viene tramandato all’interno dell’opera di Plinio il Vecchio, Historia Naturalis, ed è riferito ai Populi Albensens.

Il territorio dei Colli Albani è associato indissolubilmente ad uno di questi Populi, gli Albani, la prima comunità nota sul territorio attraverso i resti della sua cultura materiale, il proprio nomen e le citazioni contenute nella storiografia romana. Gli Albani, qualsivoglia il sistema di datazione di riferimento, emergono dalla Protostoria  come una identità culturale già formata, dopo un processo di lunga durata che ha il suo inizio nel Neolitico, prima di Roma e dei Romani. La loro influenza e supremazia politico territoriale, dal loro apice intorno al IX secolo fino alla prima metà del VII secolo a.C.,  si estese dalla loro sede areale (i Colli Albani) fino all’altura del Colle del Palatino dal quale si può supporre che esercitassero un qualche tipo di controllo, per un periodo di tempo determinato, sul guado del Tevere all’altezza dell’Isola Tiberina. Comunque, la caratterizzazione degli Albani sarà l’oggetto della trattazione dell’ultimo articolo di questa serie di articoli sulla Preistoria e Protostoria dei Colli Albani.

Tornando al periodo Neolitico si può affermare che le prime comunità del Latium Vetus, si insediarono, stabilmente, negli ultimi due secoli del V millennio a.C. disboscando e coltivando i terreni contigui ai loro villaggi, allevando animali da pascolo e da cortile. Alcune di queste comunità scelsero come loro sede abitativa i terreni resi molto fertili dalle grandi colate di lahar avvenute nei millenni precedenti, in prossimità dei Colli Albani. Tale datazione si desume, come visto sopra, dall’ultimo evento di grande intensità di queste esondazioni, avvenuto all’interno della seconda metà del V millennio a.C. Le stesse comunità certamente convivevano con gli eventi vulcanici suddetti, più o meno frequenti, via via di minore intensità, fino a quella che conosciamo essere l’ultima rilevante manifestazione dell’attività del Vulcano Laziale attraverso il cono del lago Albano, tramandataci, come abbiamo visto, dagli storici romani la cui datazione risale al 398 a.C.

 

 

 

 

 

 

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