PREISTORIA E PROTOSTORIA DEI COLLI ALBANI
(di Adolfo Masi)
I Colli Albani da sempre sono stati un ambito di ricerca preferito dagli studiosi delle antichità. Buona parte di questi studi, in passato, sono stati indirizzati sulle origini di Roma legate alla sua mitica “città madre”, Alba Longa. Di contro, negli ultimi decenni, a seguito dei numerosi rinvenimenti di epoca preistorica e grazie all’ausilio delle nuove metodologie di ricerca interdisciplinare si sono aperti nuovi filoni di indagine archeologica tendenti alla ricostruzione delle più antiche rappresentazioni culturali di comunità umane che si sono avvicendate sui Colli Albani e territori limitrofi in un arco di tempo definito come Preistoria e Protostoria (dove il loro rapporto con la storia ci è dato dalla convenzionale cesura temporale rappresentata dall’assenza o presenza della scrittura).
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La scoperta di un calendario lunare in un ciottolo di 10.000 anni fa
Al periodo preistorico definito come Paleolitico Superiore (40.000/10.000 a.C.) è attribuita la scoperta del percussore/ritoccatoio rinvenuto fortuitamente dall’archeologo F. Altamura presso la cima di Monte Alto (Nemi), sulle propaggini occidentali della catena dell’Artemisio. (Figg. 1 e 2).
Fig. 1
Fig. 2
Questo oggetto erratico, rinvenuto lungo un sentiero, era in giacitura secondaria (quindi isolato rispetto ad un sito abitato). Dagli studi fatti successivamente (F. Altamura e M. Mussi) si è potuto constatare che si tratta di un supporto naturale di provenienza estranea all’area albana (marna o calcare marnoso), con forma allungata e sezione quadrangolare arrotondata (mm 98 x 28 x 21). È da notare che i più vicini affioramenti di marne si trovano sui Monti Tiburtini e Lepini, ad alcune decine di chilometri dal luogo di rinvenimento. Il manufatto presenta chiare tracce d’uso come ritoccatoio e percussore in pietra tenera. Lo strumento era normalmente impugnato a un’estremità e maneggiato/vibrato in senso ortogonale al suo asse maggiore (Fig. 3).
Fig. 3 – Il percussore ritoccatoio di Monte Alto. (Foto tratta da F.Altamura-F.M.Rolfo, 2014)
La caratteristica forse più notevole dello strumento è la lavorazione, ottenuta con tre serie d’incisioni collocate lungo altrettanti spigoli adiacenti. Le tacche sono state disposte in maniera molto regolare e simmetrica, secondo una progressione numerica di rispettivamente sette, nove e undici segni per serie; sono state realizzate con uno o più passaggi di uno strumento litico, come deducibile dalle tipiche incisioni con profilo a V. L’apparato ornamentale non sembra unitario ed è stato, probabilmente, oggetto di aggiunte o ripasso dei tratti, incisi da più mani o in momenti differenti. Oltre ad alcune differenze morfologiche tra le tacche all’interno delle serie, infatti, in alcuni casi le incisioni decorative si sovrappongono alle tracce d’uso funzionali, mentre in altri ne vengono obliterate (Fig. 4).
Fig. 4 – Distribuzione delle tacche sulle facce del ciottolo
Questo dato rivela un rapporto complesso, anche in termini cronologici, tra l’apparato decorativo, accessorio o simbolico, e l’uso funzionale dello strumento. Anche su questo manufatto, inoltre, sono visibili residui di ocratura. L’intervento di colorazione si è però sovrapposto alle tracce d’uso. È quindi verosimile che l’azione di ocratura, intenzionale o accidentale, sia avvenuta in un momento successivo alla cessazione della vita funzionale del ritoccatoio/percussore. La sua morfologia affusolata ricorda maggiormente un esemplare gemello proveniente dai livelli gravettiani della Grotta di Laussel in Francia (Fig. 5).
Fig. 5 – Ritoccatorio/Percussore proveniente dalla grotta di Laussel in Francia. (da F.Altamura-F.M.Rolfo, 2014).
Appare chiaro che alla data dello studio del reperto (2013) non si ipotizzavano ancora le caratteristiche di «calendario lunare» del ciottolo ritrovato nel 2007. Ipotesi che veniva formulata nel 2019 sulla base della somiglianza del numero delle tacche al ciclo lunare. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista «Journal of Archaeological Science: Reports» (Fig. 6).
Fig. 6 – Ipotesi di calendario lunare per il ciottolo di Monte Alto
L’autore della scoperta, in una intervista sul quotidiano La Repubblica del 24 luglio 2019, riporta: «Le tacche sono state tracciate nel corso del tempo utilizzando più strumenti litici affilati come se fossero servite per contare, calcolare o per immagazzinare la memoria di un qualche tipo di informazione».
L’associazione della decorazione a tacche all’astrazione di un generico sistema di annotazione appare indubbia, si tratta quindi di ipotizzare a quale genere di strumento notazionale si riferisce.
L’autore come si è visto ipotizza la sua associazione ad un sistema di computo tipo calendario lunare. In tal caso si dedurrebbe che il suo uso era in grado di soddisfare le esigenze di calcolo astratto del gruppo al quale apparteneva consentendogli di fare calcoli numerici che gli consentissero di stabilire quanti giorni mancassero o fossero passati all’interno di un ciclo lunare e trarne le considerazioni utili per la caccia, etc.. Se così fosse, cosa dobbiamo ipotizzare come procedura di calcolo, cioè, in ultimo, come veniva usato? Peraltro, la capacità di calcolo astratto non risulta documentata da studi specifici per le genti del Paleolitico se non a partire dall’VIII millennio a.C. ed in siti come quello di Warren Field, nell’Aberdeenshire in Scozia, dove è stato scoperto il più antico calendario lunare conosciuto la cui utilità ed uso risultano evidenti dal tipo di struttura stessa (Fig. 7).
Fig. 7 – Il calendario lunare di Warren Field consiste in una serie di 12 buche ricavate nel terreno, distribuite ad arco su un tratto lungo circa 50 metri: i fossati, di diverse forme e dimensioni (fino a 2 metri di diametro) e scavati a diverse profondità, dovevano imitare la forma della Luna nelle varie fasi. Segnando di volta in volta la posizione della Luna, si teneva il conto del momento del mese in cui ci si trovava e lo scorrere dei mesi lunari lungo l’anno.
Rimanendo nel campo dell’associazione ad un calendario lunare del ciottolo di Monte Alto si potrebbe azzardare che le tacche rappresentassero una registrazione dei singoli giorni occorrenti al completamento di un ciclo lunare, ma qui il ciottolo sarebbe stato visto come un’astrazione di simbologia sacrale e non come strumento utile ai fini di un qualsivoglia computo.
La «storia» fisica del ciottolo, datato 12.000/10.000 anni fa, ci racconta che fu concepito inizialmente come percussore e ritoccatoio; successivamente ed in tempi diversi esso acquisì una valenza simbolica con la realizzazione di incisioni (tacche). Cionondimeno, il ciottolo è in grado di raccontare altre «storie», in aggiunta, non in sostituzione, come possibili alternative.
Ad esempio, tentando una ricostruzione della vita del ciottolo, sappiamo che esso fu raccolto, disponibile in natura nella sua sede originaria, per essere utilizzato come percussore/ritoccatoio. Il suo utilizzatore potrebbe aver fatto parte di un piccolo gruppo di homo sapiens stanziati tra i Monti Lepini e la pianura Pontina che si spostava all’interno di questo territorio circoscritto per le attività di caccia e raccolta legate al suo sostentamento. L’attività quotidiana di ricavare/affilare strumenti litici utili per la sopravvivenza del gruppo e il contatto continuo con suoi appartenenti può avergli elevato la capacità di astrazione attraverso l’osservazione dei suoi simili ed averlo messo nelle condizioni di rappresentarli/rappresentarsi simbolicamente come un senso di appartenenza. I numeri 5, 9 e 11 delle tacche, riportati su tre delle quattro facce del ciottolo, potrebbero aver rappresentato la consistenza numerica del gruppo in determinati momenti ritenuti significativi dall’autore/i e visualizzati con incisioni corrispondenti. Ad un certo punto della loro storia il piccolo gruppo si inoltra sulle alture dei Colli Albani come per voler estendere gli abituali territori di caccia e raccolta in un luogo ricco di risorse e, a quel tempo, non più ritenuto pericoloso e inaccessibile a causa delle intense attività vulcaniche dei millenni precedenti, seppure non cessate definitivamente. Quindi si potrebbe pensare all’ubicazione di Monte Alto come ad una postazione di crinale temporanea sfruttata per l’avvistamento e il controllo della selvaggina.
Verosimilmente l’ideatore della simbologia incisa sul ciottolo, o colui che per ultimo lo deteneva, muore sui Colli Albani per cause a noi sconosciute e al suo rito funebre è accompagnata la deposizione, come corredo, del ciottolo data l’alta valenza simbolica che rivestiva. Questa ipotesi troverebbe la sua giustificazione nella presenza di uno strato di ocra rosso sovrastante le tacche, una decorazione pittorica che si riscontra frequentemente nelle sepolture paleolitiche del periodo, impressa sul ciottolo dal suo uso come pestello per la preparazione dell’ocra da spargere sul defunto o come contaminazione dello stesso causata dalla sua posizione a contatto con la deposizione del defunto. Altra giustificazione del ruolo cultuale di tipo funebre del ciottolo sta nel fatto che esso potrebbe considerarsi «incompleto» dal momento che la quarta ed ultima faccia del ciottolo non è stata oggetto di incisioni, ciò è l’evidenza dello stretto legame tra il defunto ed il suo oggetto simbolico come deposizione funebre occasionale, seppure di sommità.
Inoltre non possiamo escludere del tutto la possibilità che il ciottolo fosse uno strumento di annotazione di animali anche se l’attività di allevamento è nota a partire dal Neolitico. Inoltre, in tal caso, il numero delle annotazioni (incisioni-tacche) avrebbe dovuto essere molto più elevate considerando la relativa brevità del ciclo di vita degli animali.
Il quadro generale in cui questa narrazione si inserisce, come si è visto, è la parte finale di un arco di tempo lunghissimo definito come Paleolitico, dal greco palaios=antico e lithos=pietra, quindi «antica età della Pietra». È lo stadio dell’umanità durante il quale l’uomo si sostentò con i prodotti della caccia e della raccolta vivendo in piccole bande e praticando il nomadismo. Un periodo che inizia all’incirca 2,5 milioni di anni fa e il cui termine è dato a 10.000 anni fa. All’interno di questo periodo si susseguono varie forme di umanità, le più note: homo habilis, homo erectus, neanderthal, fino ad arrivare al cosiddetto uomo moderno cioè l’homo sapiens a cui apparteneva il detentore del ciottolo di Monte Alto.
Come si è visto il ciottolo di Monte Alto è in grado di raccontare storie diverse, paritetiche fra di loro, in considerazione che gli schemi mentali dei nostri antenati paleolitici, in mancanza di contesti specifici, rimangono in gran parte sconosciuti. Infatti alle domande: perché furono fatte quelle incisioni sul ciottolo? cosa volessero significare? in poche parole cosa avesse in mente quando le ha realizzate il nostro antenato paleolitico, probabilmente, non sarà mai data una completa ed esaustiva risposta. È vero però che gli studi di semiotica preistorica ci forniscono delle chiavi interpretative generali quando si parla di arte preistorica e tribale come testimonianza della identità della specie; il passo seguente tratto dal libro di Emmanuel Anati, Semiotica dell’arte preistorica del 2014 può darci degli spunti: “capire e testimoniare sono tra le principali motivazioni per milioni di immagini che l’uomo ha inciso e dipinto sulle rocce del mondo intero. Per il mondo tribale, raffigurare, produrre arte e poi creare un contatto emotivo con le immagini, era ed è anche parte del processo di apprendimento.