ARCHEOLOGIA

La “Tomba della Principessa” del Vivaro di Rocca di Papa (di 3000 anni fa)

 

Dalle nebbie del Vivaro (Rocca di Papa) venne alla luce una tomba “principesca” di tremila anni fa. Inizialmente poco compresa perché isolata, si è rivelata in seguito di straordinario interesse scientifico, fornendo, assieme alle altre scoperte del Vivaro (insediamenti dell’età del bronzo e del ferro), la chiave di lettura per comprendere molti aspetti relativi alla nascita della Civiltà Albana.

(di Franco Arietti)

 

Il Vivaro in una tipica giornata di nebbia (foto A.M. D’Ottavi)

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La tomba, femminile, è antichissima e si data all’ultimo quarto dell’VIII secolo, più probabilmente attorno al 720 a.C. Venne rinvenuta casualmente nei primi anni ’60 del secolo scorso durante i lavori di spianamento con mezzo meccanico di una modesta altura in località Colle dei Morti (Vivaro di Rocca di Papa) che si eleva al margine del laghetto – pantano della Doganella (ora prosciugato). Il corredo e la monumentale struttura tombale, inizialmente smembrati e dispersi, sono stati quasi interamente recuperati dopo una lunga ricerca da chi scrive e dal compianto Bruno Martellotta. Un resoconto completo del recupero, comprensivo delle preziose testimonianze di coloro che assistettero allo scavo, delle varie fasi di recupero e dell’analisi scientifica dei reperti della tomba, venne pubblicato nel 1998.

 

 

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IL SEPOLCRO

La donna venne sepolta in una sorta di cassone monumentale formato da grandi elementi lapidei in tufo sperone accuratamente squadrati e sagomati, disposti in modo da formare un recinto di forma rettangolare costituito da grandi lastroni verticali alla base e poi coperto con una serie di blocchi disposti a contrasto. All’interno misurava circa m. 3 di lunghezza, 1,50 di larghezza e 2, 10 di altezza massima.

        

                                               

                       Ricostruzione schematica della tomba a “cassone”.                     Uno dei due grandi lastroni della base prima del recupero dell’intera struttura (nell’anno 1982).

 

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LA DEPOSIZIONE

All’interno, la defunta recava in mano una coppa emisferica d’argento secondo un’ antichissima usanza nota anche sui Colli Albani a partire almeno dal X secolo a.C. Del ricchissimo corredo personale facevano parte due fermatrecce d’oro in filigrana con capi a serpentina, una collana d’ambra, diciotto fibule con arco rivestito da elementi graduati d’ambra di varie dimensioni, più  due recanti incrostazioni d’oro,  quattro fibule d’argento e due di bronzo; tra i monili vanno aggiunti un pendaglio d’argento, alcuni pendagli d’ambra, un anello d’ambra, ed altri oggetti preziosi frammentari in oro e argento di incerta attribuzione.

 

Ricostruzione schematica della distribuzione degli oggetti di corredo personale, di quelli d’accompagno e degli oggetti appesi alle pareti (in alto)

 

IL CORREDO PERSONALE

LE OREFICERIE

La donna, di età imprecisabile, indossava due spirali  fermatrecce d’oro in filigrana, eseguite ciascuna con otto fili. I più sottili  sono fabbricati con la tecnica della martellatura, mentre i più grandi – usati per i capi triangolari – risultano trafilati; al microscopio (nella figura in basso) si osservano tutte le tecniche di lavorazione degli otto fili: saldatuta autogena, trafilatura e martellatura.

 Due delle fibule con arco rivestito da elementi graduati d’ambra recavano numerosi dischetti d’oro incastonati. Dai rarissimi confronti con tombe femminili a carattere principesco coeve, rinvenute in area laziale, risulta che le fibule più preziose, spesso arricchite da elementi d’oro, si trovano sempre sulle spalle. 

 

 

I dischi d’oro in particolare, sono di due tipi: piani o emisferici; quelli piani recano il motivo della rosetta, oppure sono resi con cerchi concentrici (vedi tipologia sotto),  mentre quelli emisferici mostrano ugualmente il motivo della rosetta oppure sono piccole cuppelle lisce.

 

La loro importanza risiede nel fatto che vennero usati sette tipi di punzoni diversi dalle botteghe di artigiani orafi, che evidentemente venivano utilizzati anche per altri prodotti di oreficeria. Un esempio (vedi sotto) risulta dalla decorazione eseguita sul pettorale d’oro conservato a Baltimora (Walters Art Gallery), evidentemente fabbricato in area etrusco – laziale, dove appaiono numerose rosette e decorazioni a cerchi concentrici a sbalzo molto simili a quelle del Vivaro. Altri esempi si trovano in area centro tirrenica, ad esempio a Narce.

 

 

Infine, sono stati recuperati alcuni elementi in sottile foglia d’oro, che veniva usata per coprire oggetti di vario tipo, anche di materiale diverso, ad esempio per avvolgere recipienti in argento o bronzo, oppure oggetti di avorio, archi di fibule, ecc.

 

 

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 OGGETTI D’ARGENTO

 

“La principessa del Vivaro” venne sepolta con questa coppa in mano nel gesto dell’offerente. Finora, nel Lazio si conosceva un esempio simile, ma in una tomba maschile rinvenuta a Castel di Decima (tomba 15). Qui il defunto recava in mano uno skyphos (coppa biansata) d’argento e probabilmente questa usanza ora si può osservare anche nella spettacolare tomba Bernardini di Palestrina (più recente delle due tombe menzionate e della quale ci occuperemo in futuro) nella quale il defunto recava in mano la celebre kotyle d’oro. La tomba del Vivaro ha fatto comprendere che questo genere di coppe era probabilmente in uso esclusivamente tra le donne delle aristocrazie emergenti in area laziale, etrusca e campana. Una conferma deriva dai nomi femminili incisi su questo tipo di coppe in almeno due casi: a Palestrina (tomba Bernardini) compare il nome Vetusia, a Cerveteri (tomba Regolini Galassi) quello di Larsia. In queste due tombe prestigiose (più tarde di almeno due generazioni rispetto a quella del Vivaro) le coppe appaiono in più esemplari: probabilmente si tratta di doni funebri effettuati dal sodalizio femminile di ciascuna gente.

Coppe d’argento decorate a squame sotto l’orlo inscritte: da Palestrina (a sinistra) e da Cerveteri (a destra)

 

Completano il repertorio degli argenti queste fibule,  alcuni elementi frammentari di incerta attribuzione ed un pendaglio. 

 

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 OGGETTI D’AMBRA

L’ambra, la resina fossile delle conifere, viene dal Baltico (ma anche in quantità minore dalla Sicilia). Al Vivaro è documentata la presenza di vari oggetti in ambra, soprattutto fibule. Queste ultime sono formate da vari elementi di grandezza decrescente accostati che costituiscono l’arco della fibula montato sul supporto passante costituito da una verga di bronzo. 

Fibula con arco costituito da elementi graduati tra cui vengono inseriti setti rivestiti con foglia d’oro (da Bisenzio)

 

Le superfici di contatto dei vari elementi accostati, di forma ellittica, appaiono accuratamente lisciate e presentano numerosi fori circolari lungo i bordi; nel foro più grande centrale passa la verga di bronzo. Nei fori sono state rinvenute tracce di sostanze impiegate per incollare le varie facce (non analizzate, probabilmente di natura resinosa). Attualmente l’ambra appare ossidata, ma in origine era trasparente e si dovevano vedere queste sostanze inserite, che forse avevano anche una funzione decorativa. La tomba del Vivaro ha restituito centinaia di elementi d’ambra pertinenti a queste fibule, spesso frammentari, che non hanno consentito, se non in casi eccezionali, di risalire al montaggio originale. Fortunatamente, tutti gli elementi centrali di ciascuna fibula presentano sommità apicate e ciò ha consentito di contare con esattezza il numero originale delle fibule d’ambra (18 + due con incrostazioni d’oro). La più grande misura circa cm. 9 di altezza, la più piccola circa cm. 2.

Elementi centrali delle fibule

Componevano la collana d’ambra elementi quadrangolari alternati a vagli fusiformi. Altri elementi in ambra (che non figurano) erano costituiti da un pendaglio a forma di astragalo e un anello.

 

 

 

                                                                                               

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 IL CORREDO DI ACCOMPAGNO

Alla destra della defunta furono rinvenuti  quattro recipienti di bronzo allineati presso la parete lunga della tomba, tre dei quali (lebeti) sono stati recuperati, mentre il quarto, forse un tripode, è andato perduto. Presso la parete corta, in un grande recipiente di terracotta erano impilati undici vasi potori più due recipienti bronzei di importazione (l’oinochoe fenicio cipriota e la patera nord siriaca). Altri oggetti erano appesi alle pareti: il distanziatore di cavalli in bronzo, un coltello con lama a fiamma in ferro (descritto dagli scavatori ma andato perduto) e uno dei due cerchi di bronzo che di norma si trovano esclusivamente in tombe femminili all’altezza dell’addome delle defunte (uno dei quali fu documentato in sede di recupero ma andato perduto in seguito).

 

OGGETTI DI BRONZO

Il distanziatore di cavalli rinvenuto è composto da una catena lunga 54 cm, formata da una serie di sette telai di varia altezza vincolati da perni desinenti in alto con una testina umana. Su ciascun telaio appaiono tre volatili rivolti in varie direzioni, mentre all’interno figurano coppie di personaggi stanti oppure capovolti. Ai lati della catena vi erano in origine due collari (uno dei quali è andato perduto) ripartiti da elementi fusi nei quali si inserivano le estremità della catena; a questi partitori erano fissate lamine collegate ad una fibbia con un perno. La fibbia reca dei fori per il fissaggio dei collari in cuoio.
Si tratta di un opera assai complessa e sofisticata dal punto di vista meccanico, riconducibile a botteghe specializzate nella fabbricazione di finimenti equini e probabilmente anche di carri, nelle quali operavano vari specialisti impiegati nella lavorazione del bronzo, legno cuoio, ferro, ecc. Tutte le parti sono infatti snodabili; mentre la catena consente alcune piccole articolazioni orizzontali, trattenendo e separando contemporaneamente i due animali aggiogati, i collari ruotano per assecondare i movimenti asincroni delle teste.
Questi finimenti equini avevano una funzione esclusivamente cerimoniale (per la loro fragilità sono inadatti all’uso comune). La presenza di questo esemplare nella tomba ha un significato simbolico particolare, poiché può essere ricondotta all’evento nuziale trascorso, esattamente come nel caso delle bardature equine rinvenute in altre tombe femminili nel Lazio e nell’Agro Falisco. In questa circostanza, probabilmente, i personaggi rappresentano acrobati che si esibivano nel corso dei giochi nuziali, mentre le teste umane tra i volatili potrebbero ricordare gli auspici favorevoli e quindi risultare di buon augurio.

 

 

Altri oggetti importanti sono i quattro lebeti di bronzo, elementi esclusivi di tombe particolarmente prestigiose di questo periodo. In particolare, il più grande (mostrato nella foto prima del restauro), potrebbe essere stato importato dall’oriente.

 

Le altre due importazioni che seguono (oltre alla coppa d’argento ed al lebete probabilmente ugualmente importati) sono gli oggetti tra i più importanti del corredo accessorio. Si tratta di un’oinochoe fenicio – cipriota e di una coppa proveniente dalla Siria settentrionale.

 

L’oinochoe (brocca per il vino) in bronzo è una fedele imitazione di esemplari in argento recanti di norma una palmetta d’oro.
Su quest’ultima (in dettaglio) compare un fiore di loto con cinque sepali sovrapposti; tra le due volute appare un bocciolo all’interno del quale compare un chiodo d’argento che fissa la palmetta al ventre del recipiente. Da qui si irradiano i dodici elementi floreali che compongono la palmetta.

 

 

La coppa bronzea (manca il piede a tromba) a “doppia parete” è composta da due recipienti posti uno dentro l’altro. Quello esterno mostra cinque visi di donna resi frontalmente alternati a cinque protomi di toro con il muso rivolto verso l’orlo. Tutte le figure che si raccordano alla base della coppa sono lavorate a forte sbalzo, per cui le rispettive cavità tra i due recipienti appaiono riempite di bitume che le rinforza e nel contempo funge da collante tra i due recipienti. I visi di donna sono assai danneggiati; solo uno di essi conserva la capigliatura, le sopracciglia, parte degli occhi e del naso. (Le immagini sono precedenti al restauro, purtroppo assai problematico).

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Altri oggetti di bronzo, sia pertinenti al corredo personale che d’accompagno furono rinvenuti nella tomba. Si tratta di due cerchi di bronzo (uno dei quali probabilmente appeso alle pareti, l’altro deposto sul corpo della donna, trattenuto da una fibula di bronzo), Questi cerchi, di incerta funzione, sono tipici di tombe laziali femminili. Completano questa serie di oggetti in bronzo una base conica di vassoio cerimoniale, altri frammenti di fibule ed un chiodo a capocchia emisferica.
Un coltello, probabilmente l’unico oggetto in ferro,
purtroppo non venne recuperato da noi; di esso esiste solo la descrizione degli scavatori. Viene comunemente rinvenuto nelle tombe laziali protostoriche. Nelle tombe femminili viene di solito associato al ruolo di materfamilias.

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 VASELLAME

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