COLLI ALBANI

I CAMMINI DEL LAZIO: LA VIA LATINA – I CASTELLI DEI COLLI ALBANI

 

 

I CAMMINI DEL LAZIO

I CASTELLI DELLA VIA LATINA

 

(di Angelo D’Ottavi)

 

Premessa
La maggior parte dei castelli presenti sui Colli Albani, ben cinque, si trovano a Grottaferrata. Infatti, il suo territorio – attraversato da un antichissimo tracciato ricalcato successivamente dalla Via Latina – rappresenta da sempre la porta di ingresso alla cinta craterica ed al cuore del Lazio antico. L’accesso alla Valle Latina è sempre stato uno dei punti importanti da controllare, in particolare durante l’epoca protostorica e arcaica, fino all’età medio repubblicana.

Nel medioevo, con la caduta del controllo territoriale dell’impero romano, questa funzione strategica fu rafforzata attraverso la costruzione di fortificazioni che coprirono in maniera capillare il territorio. Oltre alla Valle Latina – il cui ingresso viene ora presidiato da Castel Savelli che ingloba la Via Latina stessa – si rese necessario rafforzare questa difesa controllando anche l’altro lato di Valle Marciana, opposto a Castel Savelli, attraverso la costruzione di Castel De’ Paolis. Questi due castelli risalgono alla metà del X secolo. Tra i due il più importante è Castel Savelli – oggi ancora miracolosamente conservato per la sua totalità – mentre Castel De’ Paolis, posto sull’altro lato della vallata, quasi a costituire una seconda porta, risulta quasi interamente diruto.

Risalendo lungo la Valle Latina, là dove sorgeva l’antica città di Tuscolo, troviamo i ruderi del celebre castello dei Conti di Tuscolo, distrutto dai romani nel 1191. Quasi di fronte, sull’altro lato della Via Latina, sorgono i ruderi del castello degli Annibaldi – già dei Conti di Tuscolo – poi per dono matrimoniale, ceduto agli Annibaldi.

Infine, nel paese di Grottaferrata, domina per la sua mole e la sua bellezza il castello rinascimentale dell’Abbazia di S. Nilo, voluto dal cardinale Giuliano della Rovere, poi divenuto papa con il nome di Giulio II.

Illustreremo la storia e le vicende di questi castelli cryptensi, dalla loro costruzione alla loro caduta, iniziando con il Castello dei Savelli, detto anche di “Borghetto”, per proseguire successivamente con le vicende degli altri castelli, sino ad avere un quadro chiaro e completo della loro ubicazione e della loro storia.

 

 

Castel Savelli

 

Tra l’XI ed il XII miglio dell’antica Via Latina, nella località Borghetto di Grottaferrata, fu costruito il castello – oggi chiamato Castel Savelli – per controllare il transito delle merci e delle persone, il quale ebbe diversi proprietari. Il castello fu edificato su una struttura preesistente, forse una torre fortificata dei Conti di Tuscolo (X secolo); successivamente, alla caduta di Tuscolo, il castello passò alla famiglia degli Annibaldi, poi alla famiglia dei Savelli ed infine, con il cardinale Giuliano della Rovere, quando il castello divenne proprietà dell’Abbazia di Grottaferrata, venne utilizzato come avamposto difensivo del ben più munito Castello dell’Abbazia.

Edificato ampliando un’antica struttura difensiva, Castel Savelli è un superbo esempio dell’architettura militare medioevale e conserva quasi intatte le sue 13 torri quadrangolari e la cinta muraria.

 

 FORLANI PAOLO (1563). MAPPA DELL’AGRO ROMANO

 

Il castello faceva parte delle fortificazioni che i Conti di Tuscolo possedevano nella campagna romana, e che si snodavano da Roma alla città di Tuscolo e permettevano, assieme ad altre fortificazioni, un cammino sicuro dalle abitazioni di Roma attraverso la Via Appia, Via Latina sino al Tuscolo, roccaforte della famiglia.

Esso fu edificato – con pietra locale di peperino – sui resti della villa che viene attribuita alla famiglia romana degli Javoleni o Giavoleni, forse appartenente al grande giurista Giavoleno Prisco (C. Octavius Fidius Tossianus L. Iavolenus Priscus – circa 60 – 120 d.C.); per l’occasione vennero impiegati materiali di risulta della stessa villa e di altri edifici romani edificati nei dintorni.

 

IL CASTELLO DI BORGHETTO NELLA MAPPA DELL’ARCHITETTO DOMENICO CASTELLI (1627)

 

Il riutilizzo di materiali romani, anche di notevole pregio e ricchezza, è dimostrato dal ritrovamento nelle murature dello stesso castello, di una testa di statua egizia, attribuita al faraone Sethi I, ed utilizzata come materiale da costruzione.

La testa del faraone è conservata al museo Barracco di Roma, ed entrò nella collezione museale nell’anno 1908 – lo stesso anno del ritrovamento – mentre nel museo dell’Abbazia di S. Nilo è conservato un frammento basale dello stesso faraone (identificato dalla scritta sul retro del frammento) riconducibile al medesimo materiale della testa (1).

Il castello ha una forma grosso modo rettangolare poiché segue l’andamento orografico del colle dove sorge; esso risulta posto a cavallo della Via Latina con i suoi due lati minori, dove si aprono le uniche due porte della cinta muraria che ha un perimetro complessivo di circa 400 m: i lati più lunghi misurano circa 140, quelli più corti attorno ai 60 m. Sul lato destro, prima della porta sud orientale rivolta a Grottaferrata, si vedono i ruderi di una chiesa ed una torre campanaria, assieme ai resti di un’abitazione probabilmente attribuibile all’alloggio del signore del Castello.

 

FRONTESPIZIO E PARTICOLARE DELLA CARTA DELL’INGEGNERE PIETRO FORTUNA (1828)

 

Il resto del castello doveva mostrare, oltre alle strutture abitative, le passerelle dei merli, stalle e magazzini, tutte opere realizzate con travi e tavole di legno, tipiche dell’epoca.

 

RICOSTRUZIONE IPOTETICA DELLE STRUTTURE IN LEGNO

 

Prima di entrare dalla porta nord occidentale (rivolta verso Roma), a sinistra, si notano sul muro di cinta del castello i punti di attacco di una grande canna fumaria, forse la bottega di un maniscalco, sicuramente necessaria per i viaggiatori che percorrevano a cavallo la Via Latina; oppure, potrebbe essere pertinente al camino della taverna citata nella prima menzione del castello – datata 23 maggio 1140 – relativa ad una disputa tra i monaci dell’Abbazia di Grotta- ferrata ed i Conti di Tuscolo, circa una “taberna in burgis de Tuscolana”.

La sua posizione elevata e ben difesa, a cavallo della Via Latina e all’inizio del diverticolo che portava a Castromenio (Marino), ne faceva una fortificazione strategica per il controllo delle persone e delle merci che scendevano o risalivano da Tuscolo, oppure che proseguivano verso la valle del fiume Sacco o in direzione della Pianura Pontina dove i Conti di Tuscolo esercitavano un forte controllo territoriale (Terracina, Torre Astura, ecc.).

 

VEDUTA DI CASTEL SAVELLI DA VALLE MARCIANA

 

Come già accennato, il castello fu edificato dai Conti di Tuscolo nel X secolo e rimase di loro proprietà sino alla caduta e distruzione di Tuscolo avvenuta il 17 aprile 1191 da parte dei romani. Successivamente, della proprietà del castello non si fa menzione nei documenti ufficiali, sino all’anno 1269, in cui si fa menzione di un “Burgus Annibaldi”; esso rimane quindi di proprietà della potente famiglia romana degli Annibaldi o Annibaldeschi (famiglia risalente all’VIII secolo con il conte di origine germanica Anwaldus).

La famiglia Annibaldi possedeva nell’area anche il Castello della Molara, posto nei pressi delle pendici di Tuscolo, assieme ai paesi di Rocca Priora e Monteporzio; il Castello della Molara era stato ricevuto in dote attraverso lo sposalizio di Annibale Annibaldi con una figlia di Agapio, Conte di Tuscolo, assieme ai terreni circostanti. Infatti, quelli che oggi vengono chiamati i Campi di Annibale a Rocca di Papa – con un fantasioso riferimento al condottiero cartaginese – vanno invece ricondotti, come toponimo, alle proprietà degli Annibaldi.

Nell’anno 1303 ritroviamo una ulteriore menzione sui documenti, nella quale il castello viene definito “castrum quod dicitur Monsformelli”, in cui il termine potrebbe alludere alla forma arcuata di una condotta d’ acqua, forse riferita ai resti di un piccolo acquedotto locale che in origine serviva alcune ville romane circostanti; in questa circostanza vanno esclusi i grandi acquedotti pubblici romani presenti nel territorio di Grottaferrata, come la Julia e Tepula, che però si trovavano sul lato opposto della Valle Marciana, come dimostrano i due cippi conservati all’Abbazia di S. Nilo sotto il portico del Sangallo (ritrovati appunto sulla dorsale di Campovecchio). Successivamente il castello viene indicato come “Mons Frenelli”.

Successivamente, nell’anno 1382, il castello passa in proprietà della illustre famiglia romana dei Savelli, il cui capostipite certo fu Eugenio II, anche egli di probabile origine  germanica.

Nell’anno 1417 il Cardinale Iacopo Isolani, legato apostolico, in visita a quei territori, trova una popolazione stremata ed in estrema indigenza, tanto da esonerare gli abitanti del “tenimentum castrum burgi Frenelli” dal pagamento delle tasse.

 

 

Dal 1431 al 1436 il castello attraversa una fase particolarmente difficile in quanto viene assediato a più riprese, nelle varie fasi del contenzioso tra il papato ed il regno di Napoli. Nell’anno 1431 viene posto sotto assedio dal capitano aragonese Jacopo o Giacomo Caldora; nel 1435 il comandante pontificio Orsino Orsini lo pone sotto assedio per scacciarvi il capitano ribelle Antonio da Pontedera, che si era schierato con le famiglie Colonna e Savelli contro l’esercito pontificio. Antonio da Pontedera verrà sconfitto successivamente (1436) dal cardinale Giovanni Maria Vitelleschi ed impiccato.

Nell’anno 1436, il cardinale Giovanni Maria Vitelleschi, a capo dell’esercito di papa Eugenio IV, combatte per reprimere le intemperanze dei baroni romani che si erano ribellati al papa ed avevano occupato Terracina. Lo scontro avvenne presso Albano dove il cardinale sconfisse le milizie avversarie comandate dal capitano Francesco Savelli, costringendo anche Renzo Colonna, alleato dei Savelli a fuggire. A seguito della vittoria, il cardinale distrugge il Castello di Borghetto assieme alle altre proprietà della Famiglia Savelli nei Castelli Romani.

L’Abbazia di Grottaferrata, nel 1447, in cambio del feudo di Ariccia, acquista il castello denominato “castrum Burgetti o Burghetti”, che diventa così l’avamposto difensivo del castello abbaziale.

In una nota del XVI secolo si cita ancora il castello che risulta completamente abbandonato “Burgetum oppidum hac aetate desertum”, ed una “taberna caque infoelicissima superstite”.

Nella carta dei beni dell’Abbazia di Grottaferrata dell’Architetto Domenico Castelli redatta nel 1627, il Castello viene nominato in un cartiglio “Borgheto”, ed appare con la sola cinta di mura e con un frutteto all’interno.

Nel 1828 la carta dell’Ingegnere Pietro Fortuna presenta il castello con la sola cinta di mura, esattamente come nella carta di Domenico Castelli.

Oggi il castello è di proprietà di privati e versa in gravi condizioni di stabilità. All’interno sorgono tre costruzioni.

 

ESTRATTO DI UNA MAPPA DEL 1896 DI PADRE ANTONIO ROCCHI

 

PARTICOLARE DELLA CINTA MURARIA

 

STATO PRECARIO DELLA CINTA MURARIA PRESSO LA PORTA VERSO GROTTAFERRATA

 

 RESTITUZIONE ASSONOMETRICA DELLE MURA DI CASTEL SAVELLI

 

 

CASTEL DE’ PAOLIS

 

Castel De’ Paolis – o Castel de Paoli – era un castello (oggi compreso nel territorio di Grottaferrata) che, assieme al vicino Castel Savelli, era preposto al controllo dell’ingresso della Via Latina nella valle omonima; inoltre, presidiava il vallone di Grottaferrata dove scorre il rivo dell’Acqua Mariana e dove la cinta craterica dei colli albani improvvisamente si innalza rispetto alla pianura della campagna romana. Quasi sicuramente il castello fu realizzato nel X secolo, quindi contemporaneamente a Castel Savelli, con le stesse modalità di costruzione, tanto da essere citato la prima volta in una bolla pontificia del papa Benedetto IX nel 1033, come proprietà dell’Abbazia di Grottaferrata.

 

L. QUILICI, S. QUILICI GIGLI, 1984

 

Il colle su cui sorge Castel De’ Paolis è denominato Colle Cimino, importante per la sua posizione strategica compresa tra il territorio di Marino e quello di Grottaferrata, a poca distanza della sorgente Tepula che alimentava uno degli acquedotti di Roma antica, e posto su un reticolo di strade romane, in parte scoperte ed individuate nel 2009.

Il sito fu frequentato e abitato già in epoca assai antica, come testimonia il ritrovamento di una sepoltura protostorica avvenuta nel 1903 sul vicino Colle Cimino. Successivamente, in epoca romana, sul colle fu realizzata la villa degli Scribonii Libones, come testimoniato da numerosi reperti epigrafici latini e greci; alcuni individuano sul colle l’antico municipio di Castrimoenium, mai esattamente ubicato sul territorio.

Nel X secolo, sui ruderi dell’insediamento romano, fu realizzato il Castello, il quale – seguendo la sorte dell’antistante Castel Savelli – già nel quattrocento stava andando in rovina, superato come fortificazione dalla nuova ingegneria militare resistente alle armi da fuoco e dalle vicende storiche.

 

 

Nella Platea Bessarionis, un inventario dei beni abbaziali ordinato dall’allora Cardinale Commendatario Basilio Bessarione, si menziona un tenimentum Castri Pauli; successivamente il castello viene citato in una controversia nell’anno 1603 nella quale viene definito Castrum Pauli diruto.

 

 

In una carta catastale dei beni dell’Abbazia di Grottaferrata del 1630, eseguita dall’Architetto Domenico Castelli per ordine dell’allora cardinal Barberini altro Commendatario dell’abbazia, si evidenzia il castello diruto con ancora la presenza di una torre (o forse due).

 

 

Il castello aveva in origine una forma rettangolare ed era circondato da una cinta muraria ed alcune torri; all’interno vi era una chiesa dedicata a S. Maria.

Oggi del Castello sopravvivono poche murature in blocchi di peperino, così come l’arco absidale della chiesa di S. Maria visibile dalla strada principale, scendendo verso Roma; inoltre, sono ancora presenti resti di una struttura di età romana in opera reticolata.

L’unica torre di ingresso esistente ai primi del 1800, fu trasformata dapprima in cancello di ingresso alla vigna e successivamente distrutta.

Purtroppo poco è rimasto dell’antico splendore del castello, e le uniche foto oggi esistenti a documentare quello che esisteva nel 1097 sono quelle di Thomas Ashby.

 

 

 

 

IL CASTELLO DELLA MOLARA

 

Il Castello della Molara – posto sopra un colle lungo la Via Latina, all’altezza del XIII miglio dove già esisteva una mansio romana a servizio della via latina, denominata Roboaria per la presenza di grandi querce – fu costruito dai Conti di Tuscolo nel X secolo per il controllo militare e commerciale della valle e della Via Latina. Il castello, posto di fronte alla rocca dinastica di Tuscolo, assieme al castello di Borghetto e a Castel De Paolis, costituiva un formidabile presidio militare per il controllo territoriale dell’area.

 

 L. QUILICI, S. QUILICI GIGLI, 1984

 

Il colle dove era edificato il castello della Molara, come chiaramente spiega il toponimo, era in parte adibito a cava di pietre da mola; cave che, come vedremo in seguito, furono abitate dopo la caduta e decadenza del castello.

Oltre la sua posizione strategica, il castello poteva contare sulle sorgenti del rivo dell’Acqua Mariana, sorgenti importanti per l’approvvigionamento idrico, visto che nel 1266 Carlo D’Angiò divenne ospite del castello con 25.000 cavalieri: numero che la dice lunga sulla grandezza del castello e dei suoi annessi.

Il castello, già dei Conti di Tuscolo, passa in proprietà degli Annibaldi nell’anno 1090 (Castrum Molarie), in quanto Agapito, Conte di Tuscolo, sposa una delle figlie di quel casato, avendo Annibaldo Annibaldi suo fedele sostenitore; come dote concede i castelli di Rocca Priora, Monte Porzio e della Molara, per cui da quel momento il castello della Molara diventa la roccaforte della famiglia Annibaldi (Cronicon Sublacense).

 

 

Gli Annibaldi ospitano nel castello illustri personaggi, come S. Francesco (1.122), che fonderà il convento di S. Silvestro a Montecompatri; Papa Innocenzo IV (1.254), e S. Tommaso D’Aquino (1.273) al quale la leggenda attribuisce la conversione nello stesso castello di due ricchi commercianti ebrei.

Il castello poteva contare su due cinta di mura: una relativa alla rocca del castello, di cui oggi si vedono a malapena le mura e le torri, ormai dirute; la seconda si estendeva fino alla Via Latina, inglobando le strutture della mansio Roboaria ancora esistenti.

 

 

Le mura e il grande castello nel 1.328, cedettero dopo soli tre giorni di assedio (e per mancanza di viveri) da parte dell’imperatore Ludovico il Bavaro.

Con la perdita dell’importanza della Via Latina, intesa come via commerciale, e con l’avvento delle armi da fuoco, il castello perde la sua importanza. Visitato dal papa Pio II Piccolomini durante un suo viaggio, il Castello della Molara viene descritto “Molaria deserta iacet” nei suoi Commentari. Inoltre, nel 1504, con la spartizione dei beni tra i Savelli e gli Annibaldi, il castello viene indicato come “castrum dirutum”.

 

 

Tra le sue rovine, attorno alla metà del 1700, si insedio una piccola comunità di lavoratori della terra, che nell’area dei paesi intorno trovavano lavoro. La comunità fu visitata anche dal cardinale Enrico Stuart Duca di York nel 1762, il quale, in una memoria anonima attribuitagli, commenta che la popolazione insediata nelle caverne delle cave di “pietra molaria” viveva come le belve, ed essendo priva delle cose necessarie, essa desiderava più la morte che la vita.

Oggi di quel glorioso castello restano pochi ruderi coperti dai rovi che rendono poco leggibile la struttura della rocca. A valle restano le fondamenta della mansio Roboaria al confine di una lottizzazione di moderne villette; sono visibili qua e là i basoli sparsi dell’antica Via Latina, mentre lungo la Via Anagnina poco più a monte si conserva per qualche metro un piccolo tratto della gloriosa strada lastricata: esso è posto all’interno di un’aiuola spartitraffico e viene usato come parcheggio nell’indifferenza generale.

 

 

 

I CAMMINI DEL LAZIO

LA VIA LATINA 

 

 

 

La Via Latina, una delle vie più antiche del Lazio, fondamentale per i commerci ed i collegamenti sia con l’Italia meridionale che con l’Appennino e l’Adriatico, oggi è praticamente sconosciuta ai più, a vantaggio della più famosa Via Appia.

Eppure, a differenza della Via Appia, una strada per certi versi “tecnologica” al pari di un’autostrada moderna, la Via Latina è stata in funzione ed utilizzata sino al XIV secolo.

Oggi con il nome di Casilina e di Anagnina, che indicano i luoghi di arrivo della strada (Casilinum dal nome del porto fluviale di Capua, dove la Via Latina si congiungeva alla Via Appia, e Anagni punto di passaggio della Via Latina utilizzata dai papi per raggiungere la città) dopo oltre 2000 anni sta a dimostrare la natura indispensabile del suo percorso. Essa si pone come tracciato naturale tra l’Appennino e le montagne costiere, utilizzato anche in tempi moderni per il passaggio dell’autostrada e della ferrovia.

Oltre ad una ragione morfologica, il passaggio della Via Latina nell’area dei Castelli Romani, ha anche una ragione storica; infatti, con il secondo millennio a.C. si assiste all’insediamento di popolazioni indoeuropee lungo le dorsali degli appennini (Civiltà villanoviana), popolazioni che nel periodo tra il XII ed il X secolo a.C. scendono dalle dorsali appenniniche e si insediano nelle aree tra gli appennini ed il Mare Tirreno.

Dal X all’VIII secolo a.C. si consolidano gli insediamenti protostorici e si assiste alla nascita della civiltà laziale stabilmente insediata in particolar modo sui Colli Albani, dove appaiono le curie gentilizie che esibiscono forme pre federali di alleanza, usi e culti comunitari, attestati da una serie ininterrotta di insediamenti che hanno restituito straordinari corredi relativi a tombe principesche risalenti all’VIII e VII sec. a.C.

In questa fase risulta pertanto naturale che i collegamenti tra Roma e l’Etruria meridionale (guado del Tevere presso l’Isola Tiberina) ed il sud dell’Italia, siano incentrati sulla Via Latina (il cui nome forse trae origine dal percorso della Valle Latina), quindi tra popolazioni alleate e la serie di curie albane come quella di Tuscolo, che controllavano il territorio.

Inoltre, la più comoda, almeno in apparenza, Via Labicana (che conduceva a Labico, oggi Colonna), via indubbiamente di valle, dall’andamento più pianeggiante rispetto alla Via Latina, doveva fare i conti con la morfologia del territorio, i cui toponimi, ancora conservati, ne indicavano le difficoltà di attraversamento (Laghetto, Pantano Borghese, ecc.) in alcuni periodi dell’anno.

In età arcaica, con la vittoria sulle popolazioni italiche, in particolare Volsci ed Equi (cfr. i fatti di Lucio Quinzio Cincinnato), che controllavano il tratto del Passo dell’Algido lungo la cinta craterica, i Latini si assicurarono la libertà di circolazione verso il sud, utilizzando la Via Latina per i commerci, ma ancora di più come direttrice di penetrazione militare.

 

 

(Una volta riassunte sommariamente le più antiche vicende storiche legate al tracciato della Via Latina, intesa come arteria commerciale e via di penetrazione militare verso il sud, possiamo passare ad osservarne il percorso).

  

 

La Via Latina, dopo aver attraversato la valle del Circo Massimo e l’area delle Terme Antonine, usciva dalle Mura Aureliane con una propria porta, per dirigersi direttamente verso i Colli Albani.

 

 

 

 

Tomba dell’Angelo

 

 

 

 

 

 

                                                                                                Via Latina e Parco delle tombe della Via Latina

   

 

Tombe della Via Latina – Via Casal Ferranti (raccordo anulare)

 

La via, dopo aver attraversato la Valle Latina sui Colli Albani, passando sotto la città di Tuscolo, oltrepassava il cratere albano al Passo dell’Algido, dove esisteva un oppidum Algidi, nell’area dove, secondo la tradizione, Cincinnato sconfisse i Volsci e gli Equi.

Una volta discesa a valle, la Via Latina si congiungeva con la Via Labicana. Continuava percorrendo la valle del Trerus (fiume Sacco), sino alla città di Anagnia, da cui proseguiva congiungendo le città di Ferentinum, Frusino, Fabrateria vetus, Fregellae sul Liri, Aquinum e Casinum.

 

Aquinum – Arco di Marcantonio 

                                                                                                    

 

Aquinum – Porta Capuana con Via Latina

 

 

 

                    

                                                                                   

                   

                                                        

 Aquinum – Via Latina

 

 

   

   

 

 


                   

Casinum – anfiteatro

      

                                                                                                                                                                                              Casinum – Via Latina

 

In quest’area, la Via Latina, per ragioni di collegamento alle varie città, nella sua prima fase, compiva una brusca svolta per raggiungere Venafrum, collegando così alla Via Latina alle città dell’interno sannitico come, Aesernia, Cubultera, Aleae e Telesia.

Successivamente, una variante, più diretta, collegava le città di Teanum Sidicinum, Cales (fondata nel 334 a.C., oltre venti anni prima della costruzione della Via Appia), per arrivare infine al porto della città di Capua Vetere, Casilinum, che nel medioevo dette nome di Casilina alla Via Latina.

 

 

 Cales – anfiteatro

 

Infine, a Capua, la Via Latina si congiungeva con la Via Appia, confluendo in essa.

 

 

 Capua – anfiteatro

 

 

Riassumendo, il tracciato della Via Latina ebbe origini antichissime e divenne fondamentale, in particolare in età repubblicana, per la penetrazione romana nel sud. Essa conserva lungo il suo percorso, ormai quasi dimenticato, innumerevoli testimonianze storiche, alcune delle quali di straordinario interesse, in particolar modo distribuite nelle città che a suo tempo attraversava; queste realtà andrebbero riscoperte e valorizzate, attraverso la creazione di un Cammino organico e specifico, che permetta ai viaggiatori che vogliono ripercorrere il suo percorso con attenzione, di riscoprirne le infinite bellezze.

 

 

 

LA VIA LATINA NEL TERRITORIO DI GROTTAFERRATA

 

 

La Via Latina attraversa da ovest a est il territorio comunale di Grottaferrata, da Villa Senni alla Valle Latina (Castello della Molara), per un tratto di circa otto chilometri (Tavv. 1 e 2).

Le prime sicure attestazioni archeologiche intorno alla presenza del suo tracciato si hanno in età protostorica, in particolare a partire dall’VIII secolo a.C. (1), ma è probabile che questi corrisponda ad un asse viario ben più antico (2).
Con la genesi delle curie albane settentrionali, recentemente riconosciute negli insediamenti di Villa Cavalletti, Tuscolo e Monte Castellaccio (3), il tracciato della futura Via Latina cominciò ad assumere un ruolo assai importante nell’ambito delle comunicazioni tra l’area albana e Roma, parallelamente alla Via Appia. Oltre agli insediamenti menzionati, che venivano lambiti dalla strada, altre testimonianze archeologiche confermano l’esistenza di questo tracciato, come attestano le tombe di VIII sec. a.C. da Castel Savelli), quelle rinvenute a vigna Giusti e a Villa Cavalletti.
Per l’età arcaica (VI e parte del V sec. a.C.) non si hanno purtroppo alcune indicazioni, ma ciò è dovuto alla mancanza di scavi sistematici, dal momento che purtroppo nessun tratto della Via Latina, nel tratto che interessa il territorio comunale, è stato indagato scientificamente. E’ comunque assai probabile che, analogamente a quanto si è osservato per altre strade in molti siti laziali, il percorso della Via Latina non apparisse per lunghi tratti rettificato e con piano rotabile relativamente superficiale, come risulta da quello basolato noto per i secoli successivi, ma al contrario, si sviluppasse in modo sinuoso e per lunghi tratti in tagliate artificiali spesso profonde, mostrando una massicciata sul fondo recante le usure prodotte dalle ruote dei carri (4).

A partire dall’età medio repubblicana la Via Latina, probabilmente nel corso del IV – III sec. a.C., l’asse viario assunse progressivamente la connotazione definitiva. La strada venne lastricata (5) e nonostante le asperità dei luoghi, il cratere vulcanico poté essere risalito da ovest a est e penetrato attraverso lunghi rettifili, interrotti saltuariamente da necessarie correzioni di rotta dettate da problemi contingenti oppure dall’asperità dei luoghi.  Quando raggiunge Villa Senni, dopo un rettifilo di alcuni chilometri, la Via Latina prosegue nella sua risalita, che si fa più aspra in questo tratto e fino a Castel Savelli; dopo una lieve correzione nei pressi della villa di Opimiano attraversa longitudinalmente Castel Savelli e prosegue diritta fino al Borghetto. Da qui piega verso nord e subito dopo, all’altezza del Villaggio E. Litta, riprende un lungo rettifilo di circa un chilometro e mezzo fino a ridosso del colle di Villa Cavalletti, che viene aggirato attraverso due brevi tratti segmentali. Ad ovest del Fico Vecchio, riprende il terzo rettifilo, il quale, attraverso correzioni di percorso quasi impercettibili, raggiunge il piccolo colle del Casale della Molara, che viene raggirato. Da questa località, la Via Latina, una volta superato per la seconda volta il monumentale alveo del Fosso dei Ladroni, raggiunge le pendici di Tuscolo all’altezza dell’Ovile Aldobrandini, per poi proseguire lungo la Valle Latina, alternando tratti diritti più o meno lunghi a necessarie correzioni dettate dalle condizioni orografiche. Vero e proprio asse nevralgico, sul quale si innestano ben diciotto antiche strade nel solo tratto del Comune di Grottaferrata, la Via Latina di età storica polarizzò l’assetto viario delle numerose ed importanti ville di produzione sparse sul territorio, convogliandone i prodotti agricoli ed anche industriali destinati in larga misura al mercato romano (6). Nel settore di nord ovest si conoscono anche alcuni villaggi disposti presso la Latina, gravitanti presso l’area di Villa Senni e grosso modo distanti un miglio (1480 metri) uno dall’altro, rispettivamente costituiti dall’ambito del vicus Angusculanum – respublica Decimienses e dal vicus individuato presso Borghetto (7).          
Lungo il suo percorso vennero costruiti numerosi mausolei raggruppati nello spazio di due chilometri a partire da Villa Senni; ad essi vanno aggiunti alcuni sepolcreti, i quali, probabilmente, dovevano essere in origine in numero assai maggiore, ed infine le catacombe denominate Ad Decimum).
Sono inoltre note due stazioni (stationes o mansiones) per la sosta e il cambio dei cavalli, una delle quali situata all’incirca al X miglio, quindi a Villa Senni e posta in prossimità dell’incrocio tra la Via Latina e la via di Cavona e l’altra al XIII miglio, nota come Roboraria, la cui collocazione per alcuni dovrebbe essere individuata nei pressi dell’incrocio tra la Via Latina e la moderna via Vicinale Aldobrandini (e quindi vicino all’incrocio delle strade nn. 2s, 129s, 139s e 140s) (8), ma per altri nelle vicinanze di Casale Molare, dove capita il XIII miglio. Recenti sondaggi preventivi hanno messo in luce in quest’area alcuni tratti della Via Latina (che si mantiene sostanzialmente integra per circa 900 metri) e una serie di edifici posti ai lati di un breve diverticolo che potrebbero, una volta completate le ricerche, chiarire se si tratti o meno della statio Roboraria.
La possibilità di collocare topograficamente queste ed altre presenze citate dalle fonti antiche, come ad esempio i diverticoli menzionati da Frontino che conducevano alle sorgenti dell’acqua Tepula o della Giulia, è strettamente legata alla conoscenza del luogo esatto dov’erano collocate le pietre miliari lungo la Latina. Dopo molti tentativi, durante i quali ad esempio il X miglio venne ubicato prima alla Molara, poi all’osteria del Fico, al Borghetto ed infine tra Morena e Villa Senni (9). Il rinvenimento del X miliario presso Villa Senni e le successive discussioni in merito, hanno definitivamente posto fine a questo problema, legittimando la tesi sostenuta da T. Ashby (10).

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Nonostante la Via Latina attraversi tutto il territorio comunale per una lunghezza di circa otto chilometri, tranne che per alcune notizie sporadiche e casi eccezionali, fino a poco tempo fa non sapevamo assolutamente nulla delle sue dimensioni e della sua struttura nei vari tratti percorsi (che doveva presumibilmente mutare a seconda delle condizioni geo-morfologiche, idrografiche ecc.). All’interno dei confini comunali, ancora agli inizi del secolo si potevano ammirare alcuni tratti, anche piuttosto lunghi del suo lastricato, come a Villa Senni e nelle vigne limitrofe fino a Borghetto, presso il Bivio di Grottaferrata (11) assieme al breve tratto basolato che si conserva ancora lungo la via Anagnina-Tuscolana presso il bivio per Rocca Priora in località le Molare, comune di Montecompatri) (Tav. 5).

 

Brevi tratti di lastricato si conservano oggi presso l’ingresso della catacomba Ad Decimum, per una lunghezza di circa tre metri, ma qui i basoli  appaiono in parte rimaneggiati e non in situ (Tav. 4a)

; un altro breve tratto, purtroppo sconvolto dalle arature è stato messo in luce di recente a S. E. della catacomba nel corso dei sondaggi preventivi effettuati dalla soprintendenza, mentre altri tre piccoli tratti sono stati messi in luce di recente nell’area compresa tra la catacomba e la via Cavona (Tav. 4c-d), ma anche qui il basolato appare quasi sempre in giacitura secondaria perché sconvolto dai ben noti scassati per l’impianto dei vigneti, condotti a partire dalla fine dell’800, di cui abbiamo ampia documentazione (vedi infra). Infine, come sopra accennato, un lungo tratto di circa 900 metri è stato identificato e parzialmente messo in luce nel 2005 presso Casale Molare. Al contrario, sono di gran lunga più numerose le notizie sulla distruzione di tratti, anche ampi, della Via Latina, dovuti a tutta una serie di interventi di carattere agricolo, viario ed edilizio, che qui di seguito verranno elencate, a partire dalla regione nord occidentale del territorio comunale.
Allo scasso dei vigneti nelle aree circostanti Villa Senni, ampiamente documentato a partire dalla fine del secolo scorso, al quale vanno aggiunte le profonde arature dei terreni (condotte fino a pochi anni orsono anche sulle catacombe!) compresi nell’area compresa tra le catacombe e la cosiddetta “villa di Opimiano” nonché una lunga trincea condotta in modo arbitrario da alcuni possidenti locali alla quale si deve probabilmente il danneggiamento della Via Latina fino alla villa di Opimiano. Nel giardino di una casa moderna, costruita a sud ovest della villa di Opimiano (e forse giacente su parte della villa stessa), figurano alcuni basoli della Via Latina in giacitura secondaria; proseguendo da nord ovest verso sud est lungo il percorso della via, che si sviluppa forzatamente lungo una angusta dorsale fino a Borghetto,  si allineano altre abitazioni moderne, fino a Castel Savelli,  alle quali si deve, se non la distruzione, l’obliterazione nei rispettivi giardini di questa parte della Via Latina.
Assai peggiore appare la situazione nel tratto compreso tra Castel Savelli e Borghetto, a causa dell’intensa urbanizzazione in uno spazio circoscritto. Notizie della distruzione di alcuni tratti della Via Latina in quest’area sono comunque anteriori all’urbanizzazione, e sono relative all’asportazione del lastricato ad opera di agricoltori (12).
Nel tratto tra Borghetto ed il cimitero (laddove l’Anagnina ascendente e quella discendente si riuniscono), è forse possibile che qualche tratto della Via Latina si sia conservato. In questo caso, verrebbe ad essere fortunatamente preservata un’area assai importante sotto il profilo viario, a giudicare dalla concentrazione di strade antiche, le quali connotano una complessa rete stradale.
In questi ultimi anni, lungo il tragitto della Via Latina tra il cimitero (villa Santangeli) e il Bivio (incrocio tra viale Dusmet e via Kennedy), si sono moltiplicate le costruzioni di ville residenziali, alle quali vanno aggiunte quelle edificate nei decenni passati. Nell’insieme, queste ora si sviluppano fino al Bivio senza soluzione di continuità, alternando case e relativi giardini sotto i quali purtroppo giace questo tratto di strada (13).
Un altro scempio della Via Latina è ampiamente documentato dagli studiosi di inizio secolo al Bivio di Grottaferrata in seguito ai lavori per la costruzione della linea ferroviaria elettrificata Frascati – Rocca di Papa agli inizi del ‘900 (14). Si possono vedere ancora oggi alcuni basoli inglobati nel muro di sostegno del terrapieno di una villa, presso l’incrocio con viale Dusmet, oppure rimescolati nel terrapieno presso le strutture murarie che affiorano a poche decine di metri, in direzione Frascati, dall’incrocio menzionato.
Tra il Bivio e le “Quattro Strade”, almeno fino alla località Fico Vecchio, la situazione è simile a quella menzionata per il tratto che va da Villa Santangeli al Bivio. Risale al 1854 la notizia della distruzione di ampi tratti della Via Latina in località Cipriana; in particolare, si rammenta che la strada avesse delle “sostruzioni” in sperone (15). Alcuni basoli sono murati lungo la via Anagnina, all’altezza del ristorante il Fico Vecchio; qui, la strada veniva affiancata, per un breve tratto, da un acquedotto. Forse un tratto ancora integro della Via Latina potrebbe trovarsi all’interno della recinzione di Villa Cavalletti, fino all’incrocio delle “Quattro Strade”, se le arature o altri tipi di coltivazione non ne hanno intaccato il lastricato; infatti, alcuni basoli in giacitura secondaria, sono stati murati nel casaletto pertinente alla proprietà di Villa Cavalletti e che si trova nei pressi della via Anagnina. Oltre l’incrocio e fino alla moderna strada per Tuscolo, sul tracciato della via si alternano ristoranti ed edifici di civile abitazione, per cui, tranne qualche caso eccezionale (come ad esempio nel parco di Villa Caterina), si può supporre che in molti parti la strada antica, fiancheggiata da importanti ville e cisterne, sia andata distrutta. Bisogna aggiungere che anche l’area dove tradizionalmente veniva collocata la stazione Roboraria (prima dei rinvenimenti presso Casale Molare) è stata selvaggiamente cementificata e distrutta in tempi piuttosto recenti, assieme all’importante nodo stradale antistante. Da qui si dipartiva l’antica ed importante via per Tuscolo, anch’essa in parte danneggiata, almeno nel tratto iniziale.
Nell’area in questione, il cui epicentro era rappresentato da Villa Reali, il Tomassetti rammenta che, agli inizi del secolo, si potevano ancora osservare in situ alcuni basoli della Latina. Essi rappresentavano ciò che rimaneva del tratto perfettamente integro della strada rinvenuta nel 1890, il cui lastricato venne in parte distrutto per costruire le macere del fondo, in parte acquistato da un appaltatore che ne lastricò la piazza principale di Frascati. Secondo quanto riferisce lo stesso Tomassetti, “… La via era larga  m. 4.80 ed aveva i suoi marciapiedi laterali terminanti da una fila di parallelepipedi di sperone e peperino, addossati ai quali erano muri in reticolato di selce, forse le basi di sepolcri, a giudicare dalle numerose ossa trovate sul posto. Dalla sinistra della via si dipartiva un diverticolo diretto verso Tuscolo e largo m. 2, del quale pure vennero in luce gli avanzi.” (16).
Proseguendo da ovest verso est, il tratto della Via Latina che raggiunge l’antico ponte è stato di recente per buona parte divelto nel corso di lavori stradali; dopo il ponte, la strada raggiunge la modesta altura di Casale Molare, che viene aggirata. Appena dopo, contrariamente a quanto ipotizzato in precedenza da tutti gli studiosi (e riportato anche nella prima edizione della Carta archeologica di Grottaferrata), la strada non attraversava il fosso di Tuscolo, ma continuava verso est, parallelamente all’alveo. Gli scavi della soprintendenza hanno messo in luce la Via Latina fino alla via di S. Nicola. Qui doveva trovarsi un incrocio (compitum) molto importante, poiché dalla Latina si dipartiva la strada che portava al Santuario di Giove posto sul Monte Cavo, incrocio presso il quale dovevano trovarsi un sepolcreto. Del tutto nuovo risulta il problema dell’andamento della via Latina da questo punto in poi, dal momento che il rettifilo punta decisamente verso un passaggio obbligato, costituito dall’angusta valle compresa tra le pendici di Tuscolo e quelle del colle del Castello della Molara (Tavv. 6-7). Tracce della Via Latina si rinvengono poco oltre la curva di via di S. Nicola: presso la recinzione della proprietà agricola limitrofa si trovavano ammonticchiati numerosi basoli probabilmente spostati a qualche decina di metri dalla loro collocazione originale. Da questo punto in poi, il tracciato della Latina parrebbe ricollegarsi alla presenza di aree di materiali fittili superficiali, osservati nel corso delle ricognizioni effettuate per la realizzazione della carta archeologica.
Nel punto in cui la strada lambiva le propaggini del colle del castello e quasi toccava il fosso di Tuscolo che qui è privo del profondo alveo che lo caratterizza ovunque nei dintorni, poteva forse trovarsi un ponte. Infatti, anche oggi qui si può guadare facilmente il fosso ed è possibile che ciò avvenisse fin dall’età pre protostorica, come documenta il rinvenimento di una tomba della metà del VII sec. a.C rinvenuta nei pressi, forse già connessa all’antichissimo tracciato stradale poi ricalcato dalla Via Latina. In età romana dalla Via Latina doveva probabilmente staccarsi una strada che doveva raggiungere la città di Tuscolo, ma nel passaggio del fosso non si notano resti di strutture antiche, il che fa pensare all’esistenza di un ponte di legno. In questo caso, un ponte in legno doveva per forza trovarsi in quel luogo anche in epoca medioevale, per assicurare il collegamento tra la città ed il castello della Molara.
Superata quest’area, la Via Latina poteva proseguire verso S.E. raggirando le pendici del colle, costeggiando l’alveo di un breve corso d’acqua tributario del fosso di Tuscolo; una volta raggirate le sue sorgenti, l’andamento della Via Latina doveva raggiungere il tratto lastricato tutt’ora visibile nello spartitraffico della via Tuscolana (Tav. 5), appena oltre il confine del territorio comunale.

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Riassumendo, se per grandi linee il tracciato della Via Latina di età storica può considerarsi sufficientemente identificato, un’analisi più dettagliata rivela come, in assenza di osservazioni dirette, sussistano per alcuni tratti specifici delle perplessità. Basta comparare tra loro le planimetrie redatte in passato dai vari studiosi per cogliere di volta in volta le differenze, al di là della precarietà dovuta alla cartografia utilizzata, di norma in scala 1: 25.000 (Tav. 2a-b-c) o di poco inferiore (cfr. la Carta topografica del Lazio e le bozze di P. Rosa in scala 1: 20.000).

Nel corso della redazione della Carta Archeologica in scala 1: 5000, che consente una precisione assai maggiore, si è tenuto conto dei contributi sopra menzionati (integrati comunque da osservazioni dirette sul terreno), in particolare modo laddove essi mostravano delle convergenze sostanziali. E’ ovvio che un utilizzo corretto di questi dati cartografici al fine di provvedere alla tutela della Via Latina attraverso saggi archeologici preventivi, nel prossimo futuro dovrà tenere conto delle inevitabili approssimazioni, valutando criticamente di volta in volta ogni singola situazione che si presenta. Iniziando dal tratto che conduce da Villa Senni fino al Borghetto, l’andamento del tracciato non dovrebbe creare problemi interpretativi, dal momento che la Via Latina doveva obbligatoriamente procedere lungo la sommità della stretta dorsale.

Per quanto riguarda l’andamento successivo, in particolare in prossimità del Villaggio E. Litta, assai importante per la definizione del tracciato appare il rilievo quotato di P. Rosa, (propedeutico alla sua Carta topografica del Lazio e redatto tra il 1850 e 1870 approssimativamente in scala 1: 20000), il quale riporta tra la Via Latina e la strada di allora, che ricalcava il tracciato della moderna via Anagnina, una quota di metri 62 all’altezza del Villaggio E. Litta (Tav. 3).

Ancora tra la fine dell’800 e gli inizi del secolo, la Via Latina fu vista all’altezza della villa Santangeli (18), un casale che si trova in prossimità dell’Anagnina discendente, nel suo tratto iniziale. 

Un altro studio del Rosa riporta ancora la posizione della Via Latina al Bivio di Grottaferrata, la quale distava dalla via Anagnina 46 metri (Tav. 3). Dal momento che vari studiosi hanno ipotizzato un rettifilo tra Villa Santangeli ed il Bivio, anche la presente Carta Archeologica accoglie in linea di principio questa proposta. Ma non é escluso che in questo settore, quantunque non sia eccessivamente condizionato dalla morfologia dei luoghi, il percorso stradale si sviluppasse attraverso opportune correzioni rispetto al rettifilo ipotizzato, come spiega bene l’assenza del tratto stradale lungo il supposto rettifilo nell’area del Liceo Scientifico Touschek (19).

Anche per i tratti successivi e fino ai confini comunali, il tracciato della strada antica é di volta in volta presunto, per cui, laddove è ancora possibile operare, ogni intervento di tutela futuro, anche se parziale e circoscritto, potrà fornire elementi preziosi per ricostruire con certezza e precisione il tracciato originale della Via Latina.

 

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NOTE

(1) ARIETTI 1994-96, p. 44, nota 12, figg. 1, 2; F. ARIETTI, BRUNO MARTELLOTTA, La tomba principesca del Vivaro di Rocca di Papa, in La regione romana, II, Istituto. Nazionale di. Studi Romani 1998.

(2) SOMMELLA 1971, pp. 393 – 407; QUILICI GIGLI 1970, pp. 363-366.

(3) ARIETTI – MARTELLOTTA 1998.

(4) Un tratto della Via Latina si sta scavando in questi giorni all’altezza del casale di Gregna (scavi Soprintendenza archeologica di Roma). Sotto i livelli della Latina lastricata, purtroppo sconvolti dalle arature, parrebbe evidenziarsi la tagliata antica e quindi postulare l’esistenza, negli strati inferiori, della strada arcaica. Sono ora numerose nel Lazio le testimonianze di questo tipo di strade a breve e medio raggio, costruite a partire dalla fine del VII sec. a.C., e largamente attestate in età tardo arcaica e medio repubblicana, in larga misura inedite e pertanto poco conosciute. Alle pendici dei Monti Albani, in località Santa Palomba, lungo la via Ardeatina, ne sono venuti alla luce due lunghi tratti: ARIETTI 1994-96, p. 42, nota 10, fig. 1 (via per Lavinium); una di queste strade, diretta a Monte Crescenzio, è stata scavata presso l’Appia in località San Sebastiano: DE ROSSI 1882, p. 272; un breve tratto di strada di questo tipo è noto anche nell’area perilacustre del Lago Albano: CHIARUCCI 1994 – 96, p. 330, Tav. III.  Per il territorio dell’agro romano: BEDINI 1984, pp.377 – 382; BEDINI 1992, pp. 221 – 279; BEDINI 1993, pp. 99 ss.

(5) Sulla costruzione della Via Latina le notizie sono in verità assai scarse. Non sappiamo quando e da chi venne lastricata per la prima volta. Forse, analogamente a quanto avvenne per l’Appia, è probabile che la strada fosse stata lastricata in vari momenti successivi, partendo da Roma. Alcune iscrizioni parlano di una latina vetus e di latina nova, probabilmente alludendo a dei rifacimenti lungo alcuni tratti avvenuti nel tempo; sulla presenza, a partire dall’età augustea, di curatores di grado senatorio e pretorio, nel IV secolo eccezionalmente consolari, si veda: GROSSI GONDI 1908, pp. 36 ss., con bibl. prec. Sull’intero percorso della Via Latina non esiste in realtà alcuna opera monografica, ma solo trattazioni separate (cfr. i lavori di K. MILLER, Itineraria Romana, Stuttgart 1916, p. 327 ss.; G. RADKE, Via Latina, in Viae publicae Romanae, in Paulys Realencyclopaedie, Supp. l. 13, Munchen 1973, col. 1487 ss.; T. ASHBY 1907, p. 3 ss.; idem 1910, p. 213 ss.; L. QUILICI, La Via Latina da Roma a Castel Savelli, Roma 1978). In particolare, per il tratto che va da Villa Senni fino al castello della Molara, sono numerosi gli studi fioriti attorno a questo importantissimo settore del territorio tuscolano. Tra i più importanti, citiamo i contributi del Lanciani per l’area di Villa Senni (Lanciani 1905), del Grossi Gondi (GROSSI GONDI 1908), di T. Ashby (ASHBY 1910) e del Tomassetti (TOMASSETTI 1928).

(6) QUILICI – QUILICI GIGLI 1984, pp. 26 ss.

(7) LANCIANI 1905, pp. 143, 144.

(8) La collocazione della stazione Roboraria, posta al XIII miglio della Via Latina è stata assai discussa in passato, ed ancora oggi non vi è accordo tra gli studiosi. Elemento pregiudiziale rimane ancora l’identificazione dei tratti scanditi dalle pietre miliari.

(9) GROSSI GONDI 1908, p. 38.

(10) Ashby 1910, p.125 e nota 1.

(11) GROSSI GONDI 1908, p. 38.

(12) Nell’Archivio della Soprintendenza archeologica per il Lazio viene menzionata la distruzione di un tratto della via Latina nella vigna Corsi.

(13) I lavori di sbancamento per la costruzione del nuovo Liceo Scientifico Touschek sono stati controllati dalla Soprintendenza per il Lazio. In quell’occasione si è potuto stabilire che l’area occupata dai fabbricati non interferiva con il tracciato della Via Latina, il quale pertanto doveva snodarsi nei pressi dell’Istituto, nel tratto oggi compreso tra il Liceo e la via Anagnina.

(14) Notizie Scavi 1904, p. 273,0274. G. Gatti elenca una serie di reperti intaccati o distrutti nel corso dei lavori, tra cui la ragguardevole cisterna situata lungo la strada Grottaferrata Frascati “alla progressiva di km 2.713 dalla Piazza Romana di Frascati”). La cisterna doveva fiancheggiare in antico la via Latina, per cui con ogni probabilità, l’orientamento della testata meridionale (probabilmente distrutta dalla costruzione di via Kennedy) doveva essere disposto parallelamente alla Latina. Gatti menziona altri “avanzi di costruzioni”, una delle quali in blocchi di tufo squadrati misuranti un metro di larghezza, ed “una galleria” (?). Vengono infine elencati anche alcuni reperti, tra cui dei grossi doli.

(15) Archivio di Stato: Atti del Ministero dei Lavori Pubblici 1854, f. 9287. Nel corso della redazione della presente Carta Archeologica, ho ricercato questi documenti presso l’Archivio di Stato, ma non mi è stato possibile consultarli poiché essi si trovavano tra quelli in via di trasloco dal magazzino di via Galla Placidia. Si veda in particolare quanto riportato da: ASHBY  1910, p. 239; TOMASSETTI 1926, pp. 285, 286.

(16) Il Tomassetti  aggiunge altre importanti precisazioni sulle preesistenze intorno all’area della strada per Tuscolo, alcune delle quali connotano un’importante sistemazione idraulica, citando la presenza di numerosi  piccoli canali confluenti in tre cunicoli scavati nel “letto di peperino”, paralleli tra loro, con “marciapiedino” laterale, dei quali uno misurava in lunghezza m. 200 (v. siti nn. 135 e 228); tra i canali “erano infisse nel peperino una ventina di olle, più o meno frantumate”.

(17) La distruzione in quest’area di un tratto di basolato relativo alla Via Latina ad opera di privati  e della relativa denuncia da parte della Soprintendenza, figura agli atti dell’Archivio della Soprintendenza Archeologica per il Lazio.

(18) TOMASSETTI 1926, p. 285. (19) Cfr. quanto riferito a nota 13.

 

 

 

 

 

 

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